Innanzitutto, ringrazio la libreria Velasquez di Foggia per l'opportunità di leggere e recensire uno dei suoi titoli in vendita, un'iniziativa piena di fiducia e lungimirante per chi non vuole solo clienti ma vuole anche far rete.
Il titolo che ho scelto, tra i quattro disponibili, è Nonnitudine di Fulvio Ervas edito dalla Marcos y Marcos.
Da come si può vedere, uno dei motivi che mi ha portata a sceglierlo è stata proprio l'immagine di copertina di Laura Fanelli, un bell'albero abitato da bambini su sfondo giallo. Eh sì, volevo qualcosa di spensierato. In più mi ha attratto il nome, reduce da poco tempo dalla lettura di Casalinghitudine di Clara Sereni, ho sentito una certa familiarità di temi.
Protagonista di una storia semplice e a tratti paradossale è un neononno veneto che si appresta a vivere una nuova fase della sua vita: essere nonni.
Un nonno, tutt'altro che comune, una sorta di ricercatore che con fare scientifico e con toni ironici riflette sulla sua nuova condizione. Come scrive Elisabetta Bolondi, sembra quasi un romanzo di formazione rovesciato, dove un neononno sulla sessantina vive una rinascita all'arrivo del suo primo nipotino.
“anche lui è arrivato in un luogo fatto di tempo, stava sul colmo di una collina da dove si vede la vita scemare e germogliare nuovamente”.
Il suo rimescolamento emotivo lo porta a ricercarne le spiegazioni: legge libri sull'imprinting; interroga una pediatra sul ruolo e sugli effetti "balsamici" della risata dei bambini; interroga i suoi amici, ex-geostrateghi, a loro volta alle prese con nipoti e passeggini; inaugura un circolo di neonipotizzati al bar di Flavio dove tra una birra e uno sfottò si parla di pannolini, di pappe e di vestitini.
“Avrebbe posto domande, raggruppato pareri e stabilito i criteri per compararli”.
Ne avrebbe, forse, potuto ricavare un manuale: corso rivolto ai neononni. Un manuale d'aiuto per quei nonni che, come lui, si sentono al contempo rapiti e persi di fronte alla nuova vita che gattona. Ma tutto questo lo solleva solo, lenisce un po' la tristezza della distanza del bebetin che cresce ed esplora felice il mondo nelle Asturie.
Sente che la sua responsabilità verso il nipote è qualcosa di più delle riunioni del suo circolo:
"essere nonni aveva implicazioni assai più ampie che essere stati padri o madri, perché a quel tempo avevano degli alibi, erano giovani e non conoscevano appieno il mondo, dovevano lavorare, pensare ai mobili e al mutuo, erano assorbiti e distratti; ora l’orizzonte era più limpido, polvere e molto rumore erano svaniti e lo sguardo avanzava in lontananza; ora sapevano di sé e del mondo; sapevano che stavano lasciando in eredità miliardi di frammenti di plastica, nuvole di gas di scarico, acque sporche; sapevano che si alzavano la notte per svuotare la dispensa del futuro dei loro nipoti".
Si sente afflitto, avverte la necessità di bonificare un mondo come questo affinché un nipote possa radicarsi. Scopre la sua malattia: “la nonnitudine”. Comprende di stare invecchiando e che, in fin dei conti, non potrà fare molto di più di quanto ha fatto con i suoi figli: vedere la vita nascere, crescere, accompagnarla per un tratto e poi lasciarla andare.
Vorrebbe che il mondo decelerasse, che il tempo invertisse direzione, vorrebbe poter giocare ancora con un bambino come se si trattasse di sua figlia, vorrebbe, vorrebbe… Ma sa che ciò non è possibile e allora scrive una favola, una storia che accompagnerà il bebetin anche quando lui non ci sarà. Un racconto fantastico dove un bambino abbandona il mondo conosciuto per seguire la sua strada, quella che lo porta in un mondo che, dopo la distruzione, sta ritornando alla luce grazie alle risate dei bambini.
“Ascoltando le risate dei bambini, il mondo diventa meno buio e noi più visibili e umani.”
Le risate dei bambini che risuonano e fanno rigermogliare la terra dalla finzione della favola diverranno mai realtà?
Qualche anno fa, forse essere nonni, come del resto essere genitori, non era di certo un ruolo su cui si facesse tanta filosofia. Di bimbi ne nascevano molti, di bocche da sfamare e lavoro si riempivano le giornate, era difficile dar spazio a pensieri e riflessioni su ruoli e funzioni della relazione genitori-figli e ancor di più nonni-nipoti. In una società infantocentrica, nell'accezione positiva del termine, dove tra l'altro di bimbi ne nascono pochi, forse c'è più tempo e predisposizione alla riflessione su di sé e i propri doveri di genitore e di nonno, ecco perché mi è sembrato un romanzo a tratti anche paradossale, perché vengo da una generazione dove i nonni sono stati più una comparsa che protagonisti principali o secondari.
Un romanzo leggero, ironico dove si alternano la narrazione delle giornate alla scoperta della nonnitudine e le osservazioni del nonno che con cura annota dentro di sé il germogliare del bebetin. In chiusura una storia fantastica che il nonno scrive al più grande bebetin per insegnargli a tenere a bada la paura e aver fiducia nei propri piedi. "Lasciare che ci portino..." alla scoperta di sé. La stessa scoperta che il neononno compie in compagnia di Mister lacacca, ovevro bebetin.












