venerdì 4 gennaio 2019

VA' DOVE TI PORTA IL CUORE

Il cuore fa subito pensare a qualcosa di ingenuo, dozzinale. [...] Nelle rare volte in cui viene citato è soltanto per riferirsi al suo cattivo funzionamento [...] ma di lui, del suo essere il centro dell'animo umano, non viene più fatto cenno.
Chi bada al cuore - si pensa allora - è vicino al mondo animale, all'incontrollato, chi bada alla ragione è vicino alle riflessioni più alte. E se le cose invece non fossero così, se fosse vero proprio il contrario? Se fosse questo eccesso di ragione a denutrire la vita?

Chi non conosce, anche solo per nomea, il romanzo di Susanna Tamaro Va' dove ti porta il cuore ?! Credo in molti lo conoscano, e sarebbe difficile il contrario per un romanzo diventato giustamente best seller con oltre 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo e, in occasione delle celebrazioni dell’Unità d’Italia del Salone di Torino, inserito tra i «Grandi Libri». 

Fino a quasi qualche mese fa conoscevo solo il titolo del romanzo e, come spesso accade a chi ha ricevuto un'educazione razionale, ritenevo che fosse un romanzo sentimentale, potenzialmente intriso di tanti luoghi comuni. Ma come spesso capita nella vita, mi sono dovuta ricredere già dalle prime pagine.

Il romanzo è una lunga lettera-diario che Olga, una donna di ottant'anni, sul finire dei suoi anni, scrive a sua nipote che ha lasciato l'Italia da due mesi. Una lettera che, giorno dopo giorno, nutrita di ricordi, di riflessioni e racconti della propria vita, tenta di ricucire un rapporto compromesso da fraintendimenti e verità celate tra lei e la nipote. 

Olga nasce a Trieste, in una ricca famiglia borghese di origine ebraica. In tutta la sua infanzia non ha visto mai la madre compiere un gesto affettuoso. Una donna insoddisfatta e rancorosa, preoccupata dell'etichetta si agitava in continuazione solo per cause esterne.
Il suo matrimonio non era stato d'amore. Nessuno l'aveva costretta, si era costretta da sola perché, più di ogni altra cosa, lei, ricca ma ebrea e per di più convertita, ambiva a possedere un titolo nobiliare. Mio padre, più anziano di lei, barone e melomane, si era invaghito delle sue doti di cantante. Dopo aver procreato l'erede che il buon nome richiedeva, hanno vissuto immersi in dispetti e ripicche fino alla fine dei loro giorni.
I figli erano più un dovere mondano che un desiderio d'amore e così Olga trascorre la sua vita in una solitudine ricercata e necessaria. 
[...]da questo disagio presto è nata dentro di me una grande solitudine, una solitudine che con gli anni è diventata enorme [...]  La solitudine nasceva anche dalle domande, da domande che mi ponevo e alle quali non sapevo rispondere.
Olga cresce nelle mura di una casa fredda d'amore e attenta all'etichetta. A ventott'anni incontra Augusto, un uomo gentile che le dà attenzioni e così, la giovane ormai spacciata per futura zitella, si sposa e va a vivere all'Aquila. Il matrimonio, come un'eredità di discendenza materna, non è felice. Augusto non le fa mancare niente, ma la loro relazione già tiepida va via via raffreddandosi. Una vita che si svolge per quattro anni monotona e sterile. 
Dopo un po' di tempo arriva una figlia, Ilaria, il frutto voluto di un amore extra-coniugale. Crescendo Ilaria si dimostra debole, piena di slogan sessantottini e arrabbiata. Una rabbia che la porta via di casa verso Padova, dove frequenta, pervasa di ideologie, l'università di Filosofia. 
Ascoltando i suoi rari resoconti al telefono, mi rendevo conto che non riuscivo più a seguirla, era sempre infervorata per qualcosa e questo qualcosa cambiava di continuo.
Il loro rapporto conflittuale viene peggiorato dalle droghe e gli psicofarmaci che Ilaria assume su suggerimento di uno psicologo improvvisato. Olga assiste all'involuzione della figlia con pigrizia, vigliaccheria e rimane passiva.
L'amore non si addice ai pigri, per esistere nella sua pienezza alle volte richiede gesti precisi e forti.
E invece Olga si nasconde dietro la maschera della libertà, del "fai come vuoi tu", "decidi tu", che alla fine altro non è se non un tentativo di nascondere la propria noncuranza, il proprio desiderio di non venire coinvolti. 
La mia vita fino a quel momento mi era sembrata molto banale [...] Anche quando sono diventata adulta, moglie e madre, vedova e nonna, non mi sono mai scostata da questa apparente normalità.  L'unico evento straordinario, se così si può dire, è stata la tragica scomparsa di tua madre.
Di una decisione che si prende o non si prende e della sua importanza ci si rende conto solo quando l'attimo è trascorso. La vita, comprende Olga, è fatta di bivi, di incontri, di altre vie il cui conoscerle o ignorarle, viverle o lasciarle perdere dipende da noi.
[...] tra proseguire dritto o deviare spesso si gioca la tua esistenza, quella di chi ti sta vicino.
Dopo la morte tragica della figlia, Olga ormai sessantenne inizia una nuova maternità con la nipote che, per regole strane del destino, le consente di far i conti con se stessa e di rimettere i pezzi a posto nel suo cuore. 
La comprensione esige silenzio. Da giovane non lo sapevo, lo so adesso che mi aggiro per la casa muta e solitaria come un pesce nella sua boccia di cristallo. È come pulire un pavimento sporco con una scopa o con uno straccio bagnato: se usi la scopa gran parte della polvere ricade sugli oggetti accanto; se invece usi lo straccio inumidito resta splendente e liscio. Il silenzio è come uno straccio inumidito, allontana per sempre l'opacità della polvere.

Nel prendere carta e penna, Olga, fa un gesto d'amore: apre il suo cuore e gli dà forza, quella forza che le è mancata nella relazione con Ilaria. Un gesto per molti versi anche sovversivo, rispetto alla mentalità borghese da cui proveniva, per la quale è sempre meglio tener nascosto ciò che vive nell'animo. Ma proprio la morte della figlia e il rapporto con la nipote la portano a dare voce ai suoi sentimenti, ai suoi ricordi, alle sue mancanze come madre. Olga racconta in modo pacificato senza rancori né rimorsi il percorso che l'ha portata ad essere ciò che è. Nel silenzio del cuore, che respira e si mette in contatto con l'essenza della persona, Olga ha fatto tacere i pensieri caotici e rumorosi della mente e ha trovato un nuovo equilibrio. Ha compreso che l'unico viaggio che vale la pena di fare è al centro di se stessi. 

Riabituarsi ad ascoltare la voce originaria non è facile, non lo è stato per la protagonista di un romanzo e non lo è per noi persone in carne ed ossa alle prese con le sfide della vita, più o meno importanti. Però sembra che la strada sia una: ascolatre il cuore. Le sue scelte non sono razionali, non sembrano ponderate e lungimiranti, eppure sono quelle che ci portano in contatto con la nostra vera essenza.
E quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quali prendere, non imboccarne una a caso [...] Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va' dove lui ti porta.

Il romanzo che nella finzione narrativa vuole essere anche un dono per la nipote, nella realtà della lettura è un dono anche per noi. E quale miglior dono per un anno appena iniziato dar voce e prestare orecchio al nostro cuore?

Buona lettura e buon anno nuovo.