Questo lavoro nasce dallo studio ed interesse personale verso le tematiche del rapporto tra padri e figli. Si presenta per questo come la sintesi del pensiero e del lavoro di alcuni autori contemporanei quali Yablonsky, M.Morganti e M. Recalcati, ai quali si rimanda per approfondimenti.
Seguirà un successivo post su Haley, Newmann, Lowen e Carotenuto, per rendere il quadro quanto più completo. Ciascuno studio individua quegli aspetti che consentono di ricomporre il difficile quadro della funzione ed importanza del padre.
Questa mia sintesi dei loro testi è un modo per diffonderne le teorie.
Buona parte degli studi psicologici e psicoanalitici ha posto l'attenzione sulla figura materna come figura centrale nello sviluppo del sé dei figli. Pur essendo la madre una figura di assoluto rilievo mi sono sempre chiesta quale fosse, nel gioco dei doveri familiari, la funzione del padre e come agisse la sua presenza ed educazione sulla prole. Questa domanda, e insieme il desiderio di andare più a fondo nella comprensione del sistema famiglia, oggi così barcollante, mi hanno portata a compiere questa ricerca, che come sempre non potrà mai essere né esaustiva né completa.
Il primo elemento che ha scatenato in me una serie di riflessioni è stata la lettura di questo articolo sulla figura del padre (http://6donna.com/articoli/psicologia/1214/la-figura-paterna-nello-sviluppo-del-se/):
Il padre simbolicamente rappresenta, nel sistema famiglia, colui che istituisce le regole e dunque l’istanza morale . Questa istanza o codice morale è la base della coscienza etico-sociale che guida il comportamento e le relazioni interpersonali.Ciò significa che il padre tanto marginale non è, anzi.. così dopo varie ricerche ho trovato una serie di spunti interessanti, che condivido con voi lettori. Ho letto vari autori come Freud, Jung, Yablonsky, Carotenuto, Haley, Lowen, Morganti e Recalcati... Questi studiosi hanno dato pari importanza alla figura del padre. Leggendo i loro testi è chiaro il lavoro di rivalutazione e riabilitazione del ruolo paterno importante fin dalla più tenera età.
Ecco perché dedico un post alla figura del padre e a quanto sia importante nella nostra vita.
Lewis Yablonsky fu un noto
sociologo che nel corso della sua professione ha indagato il difficile quanto complesso ruolo
della figura paterna nella nostra società, definendo i vari “prototipi”
paterni. La sua analisi è stata centrata sui legami emotivi che uniscono padri
e figli e su quali siano i doveri di ciascuno nella relazione.
Egli, infatti, sottolinea come la paternità sia il compito più
importante che un uomo possa svolgere. La responsabilità nei confronti di una
nuova vita non è affrontata nello stesso modo da tutti i padri, ci sono padri
che l’assumono in modo sconsiderato, senza interesse per l’influsso che possono
avere sui loro figli, e padri che assumono il ruolo con passione e
consapevolezza. Ovviamente tra questi due poli ci sono diverse sfumature che
vanno considerate, poiché ognuna influisce sulla psiche del figlio e sul suo
rapporto futuro con il mondo che lo circonda.
Esistono, poi, anche uomini che
decidono volontariamente di non assumere il ruolo di padre. Qualunque sia la risposta al loro rifiuto di
paternità è bene sottolineare che oggigiorno diventare padre non è una risposta
automatica ad un bisogno naturale bensì, come fa notare anche Recalcati nei
suoi studi, è una risposta culturale e che pertanto implica una libera presa di
coscienza.
Il legame con un figlio è un
legame emotivo e come tale si nutre della dimensione conscia e inconscia
dell’adulto coinvolto. Lo stile paterno, infatti, cambia a seconda di come il
genitore si vede e percepisce, di come ha a sua volta vissuto il rapporto con
il proprio padre.
Uno degli influssi più
significativi sullo stile paterno è costituito dall’impronta lasciata dallo
stile del padre preso a modello. Si tratta di un fattore che sia a livello
cosciente che non cosciente è sempre in opera. Molti uomini si comportano con i
loro figli proprio come i loro padri: li amano, li consigliano, li allontanano come
aveva fatto il loro padre.
L’addestramento alla paternità che un uomo riceve dall’osservazione
ed imitazione del padre può essere spesso disastroso, come dimostrano le
cosiddette “famiglie criminogene” ovvero quelle famiglie in cui i figli
ripercorrono le orme distruttive e deleterie dei propri padri. Sono i casi di
padri tossicodipendenti, violenti. È come se l’eredità criminale venisse
trasmessa di generazione in generazione.
Gli stessi mass media hanno un
effetto non trascurabile sulla figura del padre ideale occidentale,
influenzandone notevolmente le azioni. Ovviamente, il modello proposto è un
modello stereotipato e intriso di fantasie letterarie e immagini assurde che
hanno un limitato rapporto con la realtà. Si rischia, nell’emularle, di inficiare
un rapporto padre-figlio sano ed equilibrato a favore di uno totalmente
illusorio.
Gli stili paterni di Yablonsky
Ogni uomo sviluppa un personale
stile paterno. Secondo lo studio effettuato da L. Yablonsky qualsiasi sia lo
stile paterno ogni padre affronta nella sua relazione con il figlio periodi di
odio-amore. Lo scrittore ha riconosciuto cinque differenti tipologie di stili
paterni:
Il padre comprensivo
Il padre di questo tipo è un
padre emotivamente sano, capace di porre i bisogni di suo figlio al di sopra
dei propri. È capace di agire da doppio
di suo figlio nel senso che è in grado di diventare un tutt’uno con lui,
proprio come avviene in una seduta di psicodramma. Gli intensi sentimenti
emotivi del padre amorevole garantiscono un atteggiamento affettuoso e benefico
tanto per il padre quanto, soprattutto, per il figlio. È bene comunque
sottolineare che per quanto un padre amorevole sia auspicabile per la crescita
psicoemotiva del figlio, quest’ultimo è sottoposto a molteplici influssi nella
sua formazione, influssi che un padre non può e non deve necessariamente
controllare. Qualora il padre amorevole diventi eccessivamente protettivo nei
confronti del figlio ne blocca la crescita interiore e la formazione del Sé. In
un certo qual senso questo padre potrebbe soffocare e opprimere il figlio
portandolo al fallimento.
Il padre coetaneo
Il padre coetaneo è un padre
iperamorevole che, anziché assumere la propria posizione, cerca di essere un
“amico” dei figli. A livello psicologico c’è un’immaturità di fondo ed è emotivamente
un bambino. Un padre di questo tipo, pur riuscendo ad amare il proprio figlio,
non ottiene nessuna forma di rispetto e né, cosa più importante, offre al
figlio un modello da emulare. Di solito è un padre assediato dai problemi e
tende a sfogarsi con i figli, proprio come se fossero dei coetanei, caricando
il figlio di un peso non sopportabile per la sua età.
Il padre macho
Al lato opposto del padre coetaneo vi è il padre macho. È un uomo che ha un’idea
esagerata della mascolinità e si comporta come se il figlio fosse un’estensione
del suo Io. Infatti, la sua mascolinità ed identità personale sono legate alle
prestazioni del figlio, chiaro riflesso dei suoi bisogni egocentrici.
Ha uno scarso interesse o
partecipazione nello sviluppo dell’Sé del ragazzo. Spesso è violento o brutale,
con le parole più che con i gesti, e tende a dirigere in modo esagerato la vita
dei figli togliendo loro ogni autonomia.
Il padre psicopatico
Il fattore predominante di uno
psicopatico è la sua totale mancanza di comprensione, per questo non è
auspicabile che un soggetto con tali disturbi abbia un figlio proprio perché
incapace di educarlo. Il suo comportamento è caratterizzato da un profondo
disinteresse per i diritti e i sentimenti altrui, le sue azioni sono al
servizio dell’ottenimento di vantaggi personali. Il suo “disordine
caratteriale”, la sua totale incapacità di discernimento del bene e del male,
lavora al contrario nella crescita e benessere di un figlio. Molti figli di
padri psicopatici ricercano un padre sostituto o si attaccano ad una figura
“psicopatica positiva”come i capi di culto e i leader pseudo-religiosi.
Un padre psicopatico dimostra un totale disinteresse nei confronti del figlio, un disinteresse che non potrà essere colmato se non da sostituti, siano esse persone, credo religiosi o politici, nonché droghe.
Un padre psicopatico dimostra un totale disinteresse nei confronti del figlio, un disinteresse che non potrà essere colmato se non da sostituti, siano esse persone, credo religiosi o politici, nonché droghe.
Il padre egocentrico
Il padre egocentrico è un padre
che agisce in modo psicopatico pur non essendolo nella personalità. È un uomo
che dimostra freddezza e incuranza verso la crescita e lo sviluppo del figlio.
Tuttavia, esistono padri egocentrici che, pur non essendo freddi, si comportano
in modo competitivo verso tutti e tutto. Gli uomini che assumono questo
atteggiamento si comportano allo stesso modo anche con i figli e i loro
bisogni.
Di solito i padri di questo tipo
vivono la relazione con i figli oscillando tra odio e amore; consciamente o
inconsciamente avvertono il figlio, l’oggetto del loro amore, come un ostacolo
al loro successo e alla piena realizzazione di sé. Di conseguenza è un padre
che agisce negativamente sull’autostima e la personalità del figlio
Lo stile paterno ha un’influenza
significativa sulla personalità di base del figlio e sul suo approccio alla
vita. Il padre può, con i suoi messaggi ed insegnamenti, far avventurare il
figlio nella vita con gioia e passione, oppure bloccarlo in una lotta
autolesionistica con se stessi.
Uno dei risultati più
significativi nel figlio del rapporto con il padre è quella di sviluppare una
tendenza di personalità da padre o da figlio: gli uomini trascorrono la
vita interpretando i ruoli paterni o filiali assimilati.
Per divenire un “padre efficace”
l’uomo deve aver acquisito forza interiore, indipendenza e attitudine al
comando (lo diventa, di solito, una persona che si è realizzata).
Il figlio di un padre amorevole
e presente assume con scioltezza il ruolo paterno perché ammira e rispetta il
proprio padre ed è convinto che emulandone i comportamenti avrà una vita felice
e soddisfacente. Al contrario, i figli di padri egocentrici, psicopatici o
macho rimangono degli eterni figli. Il loro ragionamento inconscio è “Non voglio
diventare padre “ perché ciò significherebbe diventare il padre che hanno
rifiutato, non possono identificarsi con lui e per questo rimangono ancorati a
personalità filiali. Questo non significa che non possono avere figli, anzi, la
paternità può diventare per loro occasione di cambiamento e di crescita
interiore, ma è necessario che durante la prima fase della loro attività
paterna, quando i figli sono ancora piccoli, rettifichino e rovescino gli stili
paterni ricevuti attraverso un percorso di conoscenza interiore come, per
l’appunto, la terapia analitica.
Le tre fasi della paternità
L’analisi di L. Yablonsky ha
fatto emergere, anche, quali siano le fasi nel rapporto tra padre e figlio, i
loro reciproci bisogni e richieste che, ovviamente, cambiano con il crescere
del figlio stesso.
Secondo lo studioso si possono
riconoscere tre fasi evolutive. La prima fase è quella della fusione dell’Io
del padre con il figlio ed è propria del periodo che va dalla nascita ai primi
dodici anni di vita; la seconda fase, quella dell’inizio dell’indipendenza e
della lotta del figlio per affermarsi e staccarsi dal modello familiare, ovvero
il raggiungimento dell’ autonomia, va a seconda dei casi dai tredici anni agli
oltre i venti; la terza fase quella dell’amicizia, che si fonda sul reciproco
rispetto e stima tra padre e figlio adulto, questo rappresenta un’evoluzione
ideale del rapporto, ma che non sempre accade. Ad interrompere e spezzare
questo naturale processo collaborano tanti fattori, tra i quali i tipi di
paternità assunti.
Problemi tra padri e figli
Ci sono tra padri e figli
problemi transitori normali e problemi seri a lungo termine, così come problemi
imprevisti. I problemi normali e transitori emergono soprattutto durante la
fase adolescenziale e hanno origine nel bisogno di separazione e indipendenza
del figlio dal nucleo familiare. I problemi, comunque essi siano, vengono
considerati differentemente a seconda del punto di vista di chi li osserva, il
padre li percepirà in un modo e il figlio in un altro, per questo, quando si
presentano, vanno affrontati in modo da evitarne lo strascico per anni.
Nel caso di tossicodipendenze o
atteggiamenti criminali da parte del figlio è chiaro che l’indagine psicologica
debba coinvolgere necessariamente il padre e l’intero nucleo familiare. È stato
dimostrato come molti casi di disadattamento sociale e problemi di dipendenza
siano correlati da altrettanti problemi nel padre, è come se il figlio ne
perpetuasse la “criminalità”. Molti fattori determinano la delinquenza giovanile,
ma uno dei fattori centrali è proprio il rapporto con il padre. Soprattutto il
padre che è incapace di seguire, dunque di interessarsi al figlio, genera
comportamenti di ribellione e di estraneità dal vivere sociale. Anche i padri
eccessivamente restrittivi, incapaci di attribuire un giusto peso alle azioni
dei figli, possono essere causa di comportamenti o atti illeciti. L’etichetta
che il padre affibbia al figlio in seguito ad un unico atto illecito può
diventare per lui una sorta di marchio indelebile che provoca rabbia, rancore e
che porta il soggetto a mantenere quel comportamento in essere.
Molti figli trovano una
scappatoia dai propri problemi nell’abuso di alcol o di droga. Il padre incide
e favorisce l’uso di queste sostanze sostitutive nel caso in cui egli stesso ne
faccia uso e obblighi il figlio ad assistere o, peggio ancora, usi il figlio
come capro espiatorio della propria dipendenza. Qui è necessario un intervento
doppio da parte sia degli psicologi e assistenti sociali coinvolti e sia delle
autorità. Nei casi in cui il padre reagisca esageratamente all’uso “culturale”
di alcune droghe, specie nell’età giovanile, l’effetto può essere la
generazione di un conflitto tra i soggetti che acutizzano nel ragazzo i bisogni
di evasione. Ciò non significa passar sopra al problema quanto, piuttosto,
ridimensionarlo.
Un altro problema che oggi sta
diventando sempre più centrale, anche a livello pubblico, è quello
dell’omosessualità. È appurato che i padri determinano in modo significativo le
preferenze sessuali dei figli. Molti uomini omosessuali hanno avuto padri
ostili e indifferenti e madri eccessivamente seducenti ed indulgenti. Qui il
problema ha sia una radice nel rapporto del padre e della madre con il figlio e
sia nel modo in cui il problema viene affrontato dei genitori nel momento in
cui emerge. È un doppio rifiuto quello che può essere vissuto dal figlio, il
primo come figlio in sé, il secondo come persona con proprie tendenze sessuali
al di fuori di quelle accettate dal nucleo familiare.
Infine, ma non per questo meno
rilevante, ci sono i problemi di salute, più o meno gravi, del figlio. Ci sono
padri che li accettano e cercano di provvedervi e altri che non accettano
questo loro “insuccesso” chiudendosi in un totale o parziale rifiuto della
malattia.
Ciascuno di questi problemi,
appartenenti ad aree differenti, può essere causa o effetto di una
genitorialità mediocre o totalmente scarsa di cui i figli ne pagano le
conseguenze.
Fare da padre, dunque, è un
incarico faticoso e non privo di ostacoli, comporta amore e comprensione. È
innegabile che la dimensione paterna di un uomo si modifichi anche a seconda
dei cambiamenti del figlio, il quale si trasforma durante l’età e nel contatto
con altre persone.
Nelle società più semplici padri
e figli avevano un rapporto naturale, positivo e funzionale. Nella nostra
società, invece, complessa e frammentata, i rapporti non sono così naturali e
non rispondono a sole funzioni reali. I figli, infatti, vengono valutati in
termini di costo e di tempo, criteri che nulla hanno a che fare con un rapporto
umano, essendo criteri di produzione industriale. Affinché il rapporto venga
vissuto in maniera sana è necessario, prima di tutto, che la paternità sia
voluta e non un sia un “accidente” della vita. È importante che alla base,
soprattutto durante la fase critica dell’adolescenza, ci sia un padre capace di
comunicare, di creare una relazione con il figlio né troppo rigida da bloccarlo
e né troppo lassa da lasciarlo a se stesso, l’ideale sarebbe una relazione elastica
e flessibile ai cambiamenti. Ciò comporta un padre che sia forte interiormente
ed autonomo emotivamente in modo da poter sopportare i mutevoli stadi della
vita del figlio, e contemporaneamente essere in grado di fornirgli un appoggio
e un modello di riferimento nella sua ricerca di Sé. La comunicazione, sincera
e sentita, è garante di un rapporto che, pur cambiando, mantiene i legami e
l’amore.
Quasi tutti i padri sentono la
responsabilità di educare i propri figli rispetto alla società cui appartengono
e a guadagnarsi da vivere efficacemente. Il padre per fare ciò non può e non
deve essere lontano. Deve socializzare il figlio nel modo giusto, aiutandolo a
partecipare alla vita. Altrimenti quando crescerà il figlio dovrà affrontare il
mondo reale e sperimentarne tutti i problemi emotivi legato ad esso. Tutti i
padri, poi, devono affrontare l’atto finale di lasciare andare i figli, in modo
che diventino indipendenti e che imparino a contare su se stessi. Il padre può
aiutare in questo favorendo il processo di indipendenza e fornendo se stesso
come modello. Deve essere di sostegno e disponibile per consigli e pareri,
pronto ad intervenire quando è necessario. Questa comunicazione, fatta di
gesti, di presenza e di parole diventa costruttiva per la maturità del figlio.
Ciò non significa che il padre deve essere un angelo salvatore o infallibile,
no di certo. Anzi, conoscere il lato debole del genitore è a sua volta
un’occasione per il figlio di confrontoi. Ma questo può avvenire solo quando il
figlio ha già una sua maturità, ha sperimentato e superato le fasi del bisogno
d’aiuto. Un padre debole con un figlio piccolo o adolescente non aiuta nella
crescita psicoemotiva, poiché toglie al figlio un modello cui fare riferimento.
Un padre, che ha raggiunto la
sua piena consapevolezza e che per di più si dota di strumenti conoscitivi
delle fasi di sviluppo della sua relazione con il figlio, è di sicuro più
consapevole di sé e della sua funzione. Non lascia al caso e alla vita il
compito di allevare i figli.
Oltretutto, la relazione filiale
consente quello che in psicologia viene chiamata la seconda opportunità. L’identificazione del padre con il figlio
permette al primo di poter correggere le esperienze negative della sua esperienza
con il proprio padre e di cogliere i diversi aspetti della propria personalità.
Questo fenomeno è ben conosciuto da chi pratica o ha partecipato ad una seduta
di psicodramma.
Un rapporto consapevole
determina una crescita costante di entrambe i soggetti coinvolti e la
possibilità di sentirsi connessi nella relazione poiché padre e figlio si
percepiscono l’uno vicino all’altro.
Secondo il pensiero di C.G. Jung la mente è la somma di
processi psichici, consci ed inconsci. Alcune funzioni inconsce compensano i
nostri aspetti coscienti: le donne hanno una personalità cosciente femminile ma
un elemento maschile inconscio, detto Animus, viceversa gli uomini hanno una
personalità cosciente maschile ed una femminile inconscia, chiamata Anima.
Tuttavia l’educazione, specie quella occidentale, crea la falsa illusione che
noi siamo esclusivamente i nostri comportamenti esteriori. Si crea in questo
modo un mancato contatto tra la dimensione interna e quella esterna, tra
inconscio e conscio. Il benessere parte dall’equilibrio di questi apparenti
opposti.
Se consideriamo gli studi psicoanalitici svolti sin ora
sulla psicologia del femminile emerge che la donna è caratterizzata dall’essere
ricettiva, passiva, istintuale e concentrata sulla propria soggettività.
All’opposto la psicologia maschile tenderebbe alla razionalità, alla
spiritualità e alla capacità di agire con determinazione fissando degli
obiettivi. Tuttavia, tenendo conto delle spinte inconsce, ad esempio dell’Animus
della donna, che si manifesta nel suo bisogno di indipendenza, di
rivendicazione e di lotta intellettuale, si può comprendere come mai nel mondo
vi siano diverse sfumature di femminile.
Secondo C.G. Jung, rispetto all’Animus, ci sono due modi
di essere e vivere la propria femminilità: il primo, quello più diffuso e
socialmente accettato, è che l’Animus venga represso e proiettato sul proprio
partner; il secondo modo di agire dell’Animus è quello di portare la donna ad
identificarsi totalmente con i comportamenti maschili, rendendo difficile lo
svolgimento del ruolo tradizionale. Come tutte le cose, il bivio rappresenta la
duplicità di uno stesso problema di fondo. È nell’equilibrio delle parti che si
gioca il vero benessere e la propria completa maturazione interiore che vede la
convivenza tra Animus ed Anima. Questa maturazione avviene durante l’incontro
psicoemotivo con la figura paterna. Il padre “rompe” l’unione simbiotica con la
madre e permette alla donna di intraprendere il suo cammino evolutivo verso il
Sé.
La figura paterna svolge una funzione educativa
fondamentale, separando il figlio/la figlia dall’unità materna egli propone un
modello alternativo di relazione, non più simbiotico ed intimo, ma di azione
verso l’esterno, di crescita e di cambiamento. Il padre, in virtù di questo
ruolo, accompagna il figlio/la figlia verso la conoscenza del limite presente
in ogni aspetto della realtà garante delle vita sociale. L’amore della figlia
verso la madre e poi verso il padre rappresentano delle tappe nella formazione
del sé che si concluderà con l’allontanamento prima dalla figura materna e poi
da quella paterna.
I padri possono instaurare, però, differenti tipologie di
relazione, a seconda dei casi le relazioni possono essere sia positive che
negative. In questo caso prendiamo in considerazione solo il padre “positivo”
in quanto rappresenta il modello di riferimento della paternità in generale.
Il padre “positivo” è un padre disponibile ad avere un
rapporto responsabile ed autentico emotivamente con i figli, dei quali
incoraggia lo sviluppo intellettuale, professionale e spirituale, questo a
maggior ragione con la figlia. Infatti, nei confronti della figlia un buon
padre dovrà dare valore alla femminilità di lei, insegnando ad avere
comportamenti e valori che accrescano la stima in se stessa. Essere se stessi
significa saper abbracciare i propri difetti, le proprie debolezze così come i
propri pregi e virtù.
Un rapporto affettivo sano ed equilibrato si realizza con
un padre che sappia protendere la mano in una carezza e, anche, che non tema di
ricorrere alle punizioni di fronte alle trasgressioni, perché è impossibile
trasmettere il senso del valore senza mostrare che esso ha un prezzo.
Il padre “positivo” si lascia idealizzare dalla figlia, ma
permette anche di rimanere delusa dai limiti personali che lei scoprirà in lui,
senza allontanarsi o rimanerne offeso. In questo modo il padre “positivo”
mostra, come sostiene Recalcati, tutta la sua umanità, non è più un eroe
invincibile ma un uomo, con pregi e difetti.
Corazzata o eternamente figlia?
La psicologa M.
Morganti ha evidenziato come a seconda del tipo di relazione che la figlia ha
avuto con il padre ci saranno sviluppi dell’Animus differenti.
Quando un padre si mostra fragile, fallito sul
lavoro, con dipendenze, depresso o assorbito da un matrimonio che non funziona,
sviluppa nella figlia un Animus ferito che può assumere comportamenti da
“guerriera corazzata”. La corazza è uno scudo di difesa verso tutto ciò che
potenzialmente potrebbe ferirla. Questa barriera difensiva viene eretta in ogni
situazione, sia in amore che con il mondo esterno; è una protezione verso ogni
possibile dolore o delusione. Essa si innalza come risposta alla relazione
fallimentare con il padre ma, dato che il padre simbolicamente è la figura che
rappresenta l’Altro, questo schema
rimane fisso anche nelle relazioni successive.
La forza che viene ad essere utilizzata dalla donna “corazzata”
non è rivolta contro l’Altro per
attaccarlo o ferirlo, essa è impiegata per non permettere a nessuno di avvicinarsi
alla sua anima, alla parte più fragile di sé. La donna in questo modo
vede l’Altro come una minaccia per il
proprio equilibrio personale e professionale. Di solito, infatti, sono donne
che hanno programmato la loro esistenza passo passo per difendersi dagli
imprevisti o dai cambiamenti che non sono mai ben accetti. Sono spesso donne
realizzate professionalmente e inclini ad un forte senso di autonomia; hanno
sviluppato un Animus potente e in grado di svolgere le funzioni paterne di cui
non hanno goduto. La dimensione maschile è decisamente preponderante e di fatti
si presentano tratti fissi di personalità come la sobrietà, la fortezza e la
decisione, l’efficienza, la concretezza e un forte senso di responsabilità. Di
fondo sono donne ferite e intimamente minacciate dal sentirsi abbandonate o
rifiutate, nascondono la loro debolezza e fragilità per non rivivere lo stato
di abbandono e di delusione proprio della relazione con il padre. A lungo
andare questo modo di essere provoca stanchezza, forme di esaurimento, dolori
fisici in particolare alla schiena e alla cervicale: sono tutti sintomi di una
“combattente” che non regge più le situazioni in cui si è impegnata. Qualora,
poi, la corazza indossata fosse troppo pervasiva si possono avere anche dei
blocchi della creatività, della spontaneità e vitalità, con l’aggiunta della
perdita dell’aspetto giocoso della realtà che va ad appesantire ulteriormente
il carico che la donna prova a sopportare. Questa tipologia di donna da un
punto di vista psicologico arriva ad una scissione psicoemotiva abbastanza
forte: all’esterno sembra una donna forte e infaticabile, all’interno invece si
apre un mondo rigido e definito che intrappola la personalità dando luogo a
fenomeni di angoscia e di depressione.
Il suo tentativo di compensazione di un rapporto con
un padre debole e irresponsabile rischia di divenire una condanna a morte per
l’intera personalità che si irrigidisce in uno schema protettivo e di continuo
allontanamento dal proprio Sé.
La rigidità psicologica della donna corazza si può manifestare sia
sottoforma di distacco e durezza nei modi e sia in una forma di attaccamento
emotivo inaspettato e altrettanto rigido. Si può verificare che a seguito di un
crollo psicofisico ella nutra un forte senso di dipendenza dall’Altro. Un tentativo disperato di
recuperare tutto il tempo perduto e l’affettività negata. Si passa dalla
guerriera ad una bambina in cerca di attenzioni e affetti, proprio come da
bambine ricercavano le attenzioni paterne. Molto spesso i padri di queste donne
sono soggetti che hanno avuto a loro volta dei problemi con il femminile: o
svalutano la donna, divenendo così padri autoritari e schiaccianti, oppure
soggiacciono al loro potere, assumendo così atteggiamenti passivi e deboli.
Questi padri lasciano le figlie in un senso di profondo abbandono e
inconsciamente aprono anche la strada al desiderio di morte e di
autodistruzione.
Nel caso dei padri troppo deboli il rischio è anche
la mancata testimonianza del senso del limite, dell’autorità, che carica la
figlia di un peso eccessivo da portare ovvero quello di diventare precocemente
padre di se stessa con la conseguente fissazione di regole e principi rigidi.
Inoltre, le figlie di un padre debole sono a loro volta vittime di madri
divoranti. Viceversa, un padre eccessivamente forte ed autoritario può dar vita
nella figlia ad un Io ansioso, con profondo senso di vergogna e di colpa, con
un ideale nevrotico di successo e disciplina.
La femminilità,
proprio a causa di una dominanza dell’Animus, viene vissuta come espressione di
debolezza, di passività, la stessa che hanno visto nella figura paterna.
Alcune donne tendono, invece, a comportarsi sempre da
figlie, sempre ubbidienti e pronte a gratificare il proprio padre in cambio del
suo amore. Questa relazione ovviamente chiede alla figlia una continua rinuncia
alla sua personalità e alla sua energia vitale. Il senso del dovere e
dell’ubbidienza celano la tendenza della figlia a conformarsi al modello che il
padre le sta proponendo. Crescendo la donna tenderà ad assumere un modello di comportamento
volto a rispondere ai bisogni altrui. Non riuscirà a scorgere le proiezioni
dell’Altro su di sé ed
inevitabilmente si ritrova ad interpretare i ruoli che l’Altro le chiede. Ovviamente è una situazione sfiancante e avvilente
e alla lunga porta ad un senso di profonda stanchezza e in molti casi di
mancanza di autostima. Se la figlia corazzata si muove verso l’indipendenza e
la concretezza, la donna “eternamente figlia”, al contrario, crea una visione
fantastica e deresponsabilizzata della propria vita e della realtà in generale.
È spesso fiacca e demotivata, manca di disciplina, coraggio e spinta al fare.
Il suo Animus è sadico e rinuncia ad esprimersi, evita, cioè, le parti che l’Altro non approverebbe. L’aspetto
positivo di questo Animus è l’essere malleabili e capaci di adattamento di
fronte alle difficoltà e ai cambiamenti della vita. Tuttavia, alcune figlie
dall’Animus soffocato interpretano il ruolo di “martiri”. Intraprendono
sacrifici inutili e talvolta eccessivi pur di compiacere l’Altro nascondendo, in realtà, il desiderio di far sentire l’altra
persona in colpa e quindi innescare il doppio legame della reciproca
dipendenza. Il loro sacrificio è spesso apparente a livello psicologico, non è
mosso da urgenze e necessità reali, ma dal desiderio narcisistico e infantile
di muovere l’Altro a compassione o
peggio a creare un senso di inadeguatezza nell’Altro. È come se nella loro psiche si fosse incisa la frase “Vedi
cosa faccio per te? Per tutto questo tu mi devi amare!”.
Un Animus danneggiato al punto tale da far diventare la
donna una martire di se stessa può
essere riabilitato nel momento in cui la donna prende coscienza che l’amore che
desidera deve essere in primis amore per se stessa. Deve imparare a rispettarsi
per poter ricevere altrettanto dalle persone che la circondano e a dare il
giusto peso alle azioni da compiere.
È necessario per tutte le donne che non hanno avuto la
possibilità di vivere un rapporto con il padre soddisfacente comprendere ed
imparare che solo l’equilibrio delle parti,
Anima ed Animus, sono la vera chiave del successo personale. Bisogna
entrare sia in contatto con la forza che è dentro di sé e sia con la propria
debolezza, perché l’azione equilibrata nasce dalla sintesi personale tra
possibilità e necessità e di conseguenza tra le diverse dimensioni del nostro
essere.
5. M.Recalcati: Il ruolo del padre
5. M.Recalcati: Il ruolo del padre
Tra le domande più importanti nella storia psicoanalitica
vi sono di sicuro chi è e cos’è un padre. A partire da queste due
questioni Freud ha analizzato e utilizzato la storia di Edipo, tratta da
Sofocle, per individuare la funzione paterna più rilevante, ovvero quella di
proibire ciò che non va fatto, dare una legge di comportamento. Freud ha messo l’accento
sul ruolo del padre come colui che sa far valere la legge dell’interdizione
dell’incesto, facilitando così la separazione psicologica del figlio dalle sue
origini. Anche Lacan ha posto l’accento sulla figura paterna e in particolare
sul suo ruolo “normativo”. Tuttavia, rispetto a Freud, Lacan ha fatto emergere
il carattere traumatico di questa operazione: il padre esegue un “taglio del
cordone ombelicale” del figlio dal rapporto materno, dirigendolo verso
l’assunzione individuale del proprio desiderio.
È chiaro che esiste un’equivalenza tra padre e Legge, ed è
ancora più drammatico constatare come questa sia in declino ai nostri giorni.
Il tramonto della figura del padre è uno dei temi centrali della riflessione
psicoanalitica attuale. Freud stesso, infatti, era consapevole della piega che
stavano prendendo i rapporti padre-figlio e per questo parlava di padri
“castrati”, “evanescenti”, lontani dal modello del pater familias.
Agli occhi del figlio il padre è una figura ambivalente:
il padre ideale da un lato, il padre reale e umanizzato dall’altro. La
scissione dell’immagine paterna è quella che si verifica normalmente
nell’esperienza di ciascun figlio, il problema sussiste quando il figlio vuole
ostinatamente conservare l’immagine idealizzata, l’imago paterna nevrotica, per
assicurare la sopravvivenza della nevrosi stessa. La nevrosi costruisce e tenta
di mantenere in piedi realtà distorte e idealizzate, come in questo caso, di un
padre eroico e il lavoro terapeutico consiste proprio in una rimozione della
nevrosi affinché il figlio colga la realtà nella sua pienezza e concretezza.
Come scrive Recalcati in Cosa resta del padre?, saggio del 2011, “la famiglia contemporanea
ci appare senza centro di gravità, stratificata, disordinata, priva di nucleo e
incline ad assumere le organizzazioni più diverse”. È diventato antiquato e
“fuori moda” il modello della famiglia composto da madre, padre e figlio che
formano un legame istituito per tutta la vita. Anche la famiglia, come tutti i
frutti culturali di una società, è destinata a cambiare e modificarsi seguendo
i tempi, ma il compito della famiglia deve rimanere saldo in quanto essa è
chiamata ad accogliere una nuova vita ed a umanizzarla. Le forme di
aggregazione, siano esse di massa o individuali, sono frutto di un modello
culturale e per tanto non rispondono a bisogni primari naturali ma, come già
detto, a bisogni culturali. Da ciò deriva che la paternità non è data dallo
spermatozoo, non è un legame di sangue, bensì è un atto simbolico che assume tutte
le conseguenze dell’ evento biologico della nascita. Ecco perché la famiglia
accoglie una vita e la umanizza, nel senso che abbraccia l’impegno reale e
simbolico della nuova vita portandolo al grado di umanità e questo
riconoscimento della vita come umana resta il punto fondamentale del legame
familiare. L’umanizzazione della vita passa necessariamente attraverso l’atto
simbolico della nominazione che sancisce la filiazione. Questo significa anche
che l’amore non è mai generico e indistinto, bensì legato ad una vita
particolare che risponde ad un suo nome e che per tanto viene riconosciuto come
Altro. Di qui derivano le riflessioni psicoanalitiche sull’importanza del nome
del nascituro, poiché in esso convergono le attese, le speranze e i sogni che
nutrono il desiderio dell’Altro da parte dei genitori.
La famiglia, dunque, per essere riconosciuta tale deve
deve creare e mantenere un’alleanza simbolica tra i membri. Questa alleanza si
manifesta nel vivere assieme, nell’attingere ad una radice comune condivisa e
nel nutrire il desiderio del nuovo venuto con il proprio. Infatti, gli studi
psicoanalitici dimostrano come una vita non voluta, non inserita nel nucleo
familiare è una vita non riconosciuta in quanto tale ed è destinata alla
rovina.
Il bisogno di appartenenza caratterizza ogni essere umano,
questo bisogno è controbilanciato dalla spinta all’erranza. Entrambi lavorano
alla definizione della soggettività umana: identificazione e desiderio di
mettere radici da un lato, e bisogno di fare nuove esperienze e realizzare così
la propria differenza, dall’altro. Il legame familiare dovrebbe rendere
possibile le due spinte: accoglienza, inserimento e allontanamento. La
famiglia, dunque non solo rende possibile il senso di appartenenza, ma è anche
in grado di sopportare la separazione e la perdita in quanto necessarie alla
piena formazione del Sé dei figli.
La spinta alla differenziazione, la necessità di trovare e
conoscere il proprio desiderio è la forza che allontana dal nucleo familiare.
La malattia di ogni legame, e di quello familiare in particolare, è
l’impedimento di questo naturale movimento. Quando viene operata
un’interruzione nel flusso naturale della crescita individuale del soggetto,
mediante una dominanza del principio di appartenenza, si impedisce la legittima
differenzazione del figlio.
È chiaro che le due spinte, avvicinamento e
allontanamento, provochino un conflitto. Freud, infatti, era consapevole che
l’idealizzazione del padre, nel complesso edipico, chiami a Sé anche una
proporzionale componente aggressiva rivolta verso il proprio genitore. Ciò
significa che vi sarà necessariamente un conflitto tra le parti, ma se questo
conflitto avviene in un contesto familiare sano non si avranno forme di
violenza e la differenzazione per tanto verrà riconosciuta ed accettata. Anzi,
si può avere anche un fenomeno di trasformazione e di crescita delle parti
coinvolte. Quando, invece, il processo
di differenzazione viene ostacolato, non viene riconosciuto, anzi, si cerca di
bloccarlo, allora si manifestano eventi di violenza, di distruzione e
conseguente rottura dei legami.
Il conflitto presuppone il riconoscimento dell’Altro nella sua alterità: il legame
sociale istituito non è patologico e, per tanto, accoglie l’evento come normale
processo di crescita e maturazione del rapporto di filiazione. Se, invece,
l’allontanamento è vissuto come tradimento, come qualcosa di innaturale da
estrarre, ne deriveranno manifestazioni, anche cruente, di violenza. Ecco
perché il legame familiare deve consentire l’oscillazione tra appartenenza ed
erranza, e di conseguenza deve consentire la conflittualità. Il conflitto è il
simbolo della canalizzazione della forza aggressiva dell’alterità. Bisogna
saper nutrire correttamente tanto la dimensione dell’identificazione con il nucleo
di appartenenza, quanto quella di alterità, affinché ciò sia possibile è
necessario che le generazioni coinvolte, quelle dei padri e dei figli,
mantengano le proprie identità e distanze, evitando così quel processo di
omogeneizzazione che oggi fa da padrone. Scrive, infatti, Recalcati che oggi si
assiste a bambini che sono equivalenti dei genitori, di madri equivalenti alle
figlie e i padri ai figli. La famiglia dovrebbe invece prevedere la
“sottomissione” del figlio all’organizzazione gerarchica e alle leggi del suo
funzionamento. Oggi invece si assiste alla subordinazione delle leggi familiari
alle esigenze egoistiche e narcisistiche del dio-bambino. Esempi di quanto detto si possono riconoscere nei casi
di bambini iperattivi che non hanno mai incontrato il divieto della Legge
familiare; ancora, si possono vedere i risultati dell’omogeneizzazione
familiare nei casi sempre più diffusi di anoressie, bulimie, tossicodipendenze,
depressioni e attacchi d’ansia. Il soggetto patologico, anziché incontrarsi e partecipare
allo scambio simbolico con l’Altro, si rifugia nel godimento pulsionale
ripiegato su se stesso e per questo assolutamente sterile.
Nella famiglia contemporanea vengono meno le differenze di
posizione, di responsabilità, tutto ciò
che darebbe il “senso del limite”. Al suo posto si è affacciato il vuoto
del dialogo che nasconde semplicemente la mancanza di rispetto, la mancanza di
responsabilità da parte dei genitori e l’appiattimento delle differenze:
l’adulto deve sopportare il peso dell’interdizione che pone. Utilizzando il
titolo di un manuale per bambini, è necessario riabilitare i “no” che aiutano a crescere. In
quest’epoca di evaporazione del padre, e del significato simbolico che questa
figura ha, rimane forte l’esigenza di riconoscere l’Altro ed essere
riconosciuti come Altro. Bisogna riconoscer il debito simbolico che si ha verso
l’Altro, perché la nostra esistenza dipende sempre da ciò che è avvenuto
nell’Altro. Affinché ci sia differenzazione e soggettivizzazione della propria
libertà di essere bisogna riconoscere lo sfondo da cui questa libertà si è
costituita. Se lo sfondo non è riconosciuto ed assunto come limite, allora la
libertà si riduce ad essere semplicemente assenza di vincoli.
Il problema che si apre oggi, alla luce di quanto detto, è
come riuscire a preservare la funzione educativa propria della famiglia in un
momento in cui questa funzione sta venendo meno. Questo problema ha un duplice
aspetto, perché da un lato non si sa come assumere la responsabilità dell’interdizione
e dall’altro come passare la propria testimonianza alle nuove generazioni. Le
generazioni attuali non vivono in alcun modo il conflitto generazionale, poiché
a loro viene data la più piena e sciocca libertà di appagare sempre e comunque
il proprio desiderio di godimento del “qui ed ora”. Oggi il vero disagio è
testimoniato dall’incapacità dei giovani di accedere al vero desiderio, quello
che nasce dall’accettazione dell’interdizione. Ed è qui che si esplicherebbe il
doppio compito del padre, nel saper dire “No!” e, al tempo stesso, nel saper
incarnare il desiderio vitale di realizzazione.
Invece quello che sta accadendo è che i genitori di oggi
si trovano di fronte a due angosce: sentirsi amati dai figli e la paura del
fallimento proprio e dei figli.
La prima angoscia, quella di sentirsi amati dai propri
figli, ha ribaltato completamente la dialettica del riconoscimento. Ci troviamo
sempre più di fronte a figli che dettano le regole e genitori che cercano di
essere riconosciuti tali attraverso la tecnica del continuo assenso. Ciò
spiegherebbe la grande responsabilità data alla scuola e alle istituzioni di
educare, di formare e di umanizzare i giovani d’oggi (compiti in passato sempre
svolti dalle famiglie). Il genitore deresponsabilizzato del suo dovere è il
genitore che propone il “dialogo”, ma è un dialogo apparente e senza sostanza.
Manca l’esperienza del limite sia per il genitore che per il figlio.
Per quanto riguarda la paura dell’insuccesso e l’ansia da
prestazione , che come è noto negli studi psicoanalitici sono legate alle
attese narcisistiche dei genitori stessi, si creano una serie di meccanismi
perversi che bloccano qualunque possibilità per i figli di fare esperienza, di
cadere ed imparare a rialzarsi. I genitori di oggi sono terrorizzati dall’idea
che l’imperfezione possa perturbare la vita del loro figlio-ideale. In realtà
dietro tutto questo c’è il desiderio narcisistico del genitore che il figlio
diventi o come lui o come lui avrebbe voluto essere. Questo desiderio muove
l’azione educativa verso l’occultazione di ogni imperfezione: il motto
dominante è dare tutte le possibilità di riuscita nella vita, ma questo genera
un movimento contrario alla “riuscita nella vita”, esso genera l’incapacità di
sopportare qualsiasi rifiuto e ostacolo. Il successo dell’Io viene identificato
con la possibilità di essere soddisfatti nella vita, ma purtroppo è una mera
illusione.
Infatti, la psicoanalisi non elogia la prestazione.
Infatti il lavoro dell’analista è antagonista alle illusioni dell’Io e ai suoi
sogni di gloria, un buon psicoanalista rimuove la corteccia costruita dall’Io
(quella corteccia fatta di sogni di successo e di voli pindarici) affinché il
soggetto impari a conoscere realmente se stesso e si confronti con il suo
intimo desiderio.
Se volessimo usare le parole di Recalcati si potrebbe dire
che la psicoanalisi elogia il fallimento.
Il fallimento è una caduta necessaria alla persona per tastare le sue reali
potenzialità e possibilità e per verificare quanto le sue idee possano avere
presa sulla realtà. Ecco perché il tempo del fallimento non può che essere
quello della giovinezza. L’errore, l’indecisione, la sconfitta, il ripensamento
sono tutti necessari alla formazione autentica. I giovani sanno perdersi come
nessun altro ed è questo il loro più prezioso bene, non ha senso impacchettare
la loro vita come una scalata al successo, non è quello il compito del
genitore. Il genitore deve essere presente nell’erranza del figlio per mantenere vivo il senso di appartenenza,
e per fare ciò è necessario sopportare l’angoscia di questo andirivieni. Solo
al termine di questo processo, lungo e contorto, sarà possibile vedere sorgere
in sé un desiderio puro e pienamente conforme alla propria persona.
6. M.Recalcati: “Il complesso di Telemaco”
6. M.Recalcati: “Il complesso di Telemaco”
Come nel “complesso di
Telemaco”, tratto dall’Odissea, il disagio della giovinezza viene letto come il
risultato della relazione tra genitori e figli così oggi per leggere il
rapporto tra generazioni, parafrasando il titolo di un articolo di Eugenio
Scalfari, bisogna riconoscere che il
padre manca alla nostra società. È un dato preoccupante come la figura del
padre, nella sua accezione psicologica di “autorità”, sia oggi tramontata.
La funzione educativa del padre
si esplica proprio nel rapporto con la sua prole, eppure oggi assistiamo ad un
suo declino: al posto del padre che guida, abbiamo una schiera sempre più
nutrita, di padri che sono divenuti i “compagni di giochi dei loro figli”.
Questo cambiamento, nonostante tutto, si accompagna ad una crescente domanda del padre. Ma questa crisi non
vuole essere e non deve essere un momento per riportare in vita il “mito del
padre-padrone”, il suo tempo è irreversibilmente finito, esaurito e scaduto.
Alla luce di questa trasformazione dei rapporti, tra padri e figli, bisogna
chiedersi cosa sia rimasto del padre nel tempo della sua dissoluzione.
Recalcati, in un suo saggio del
2013, riprende la storia di Telemaco come punto-chiave di interpretazione del
rapporto padre-figlio. Questo complesso è il rovesciamento di quello di Edipo:
se Edipo viveva il proprio padre come rivale, tanto da arrivare ad ucciderlo,
nel complesso di Telemaco, invece, il padre è la figura “attesa”. Egli,
infatti, attende il padre che ritorni affinché con la sua autorità possa riportare
la legge laddove domina il caos dei Proci.
Telemaco si emancipa dalla
violenza parricida di Edipo e cerca il padre come figura con cui confrontarsi.
Il padre diviene così l’invocazione della
Legge, quella legge che porterà di nuovo la giustizia ad Itaca. Proprio
dietro questa attesa c’è un senso di malinconia e nostalgia. Nietzsche aveva
già intuito che la domanda di padre nascondesse sempre l’insidia di un’attesa
infinita di qualcosa che non arriverà mai. Questo coltivare la speranza e
l’augurio del ritorno di un padre-glorioso e “salvatore” è un rischio sempre in
agguato, soprattutto laddove mancano punti fermi e certezze si tende a spostare
al di fuori di sé qualunque attività di cambiamento. Come sostiene Recalcati,
noi siamo in un’epoca di tramonto irreversibile del padre e bisogna comprendere
come conciliare questo dato di fatto con la crescente attesa delle nuove
generazioni che un “padre” venga e indichi una nuova via.
Le nuove generazioni sono
impegnate nel realizzare un movimento di riconquista del proprio avvenire,
della propria eredità smantellata. Come Telemaco essi attendono, ma cosa arriva
dal mare dell’attesa? Per Telemaco dal mare è giunto un uomo, suo padre, nelle
spoglie di un migrante senza patria, al suo seguito non vi erano né flotte
vincitrici di un eroe né ricchezze e denari. E per le generazioni di oggi chi o
cosa giungerà? Questo non ci è dato sapere, ma possiamo invece valutare meglio
e considerare cosa i “nostri figli” si aspettano: l’attesa è verso dei
padri-testimoni. Ecco dunque una parola chiave nel rapporto padre-figlio e in
generale nel rapporto con la figura del “padre”: una “testimonianza”. Oggi non
si cercano né modelli ideali, né dogmi, né eroi leggendari e né tampoco
autorità repressive e disciplinanti. Il padre invocato, con tutti i suoi
significati archetipici, non può essere il padre che ha l’ultima parola sulla
vita dei propri figli, questa figura appartiene ad uno stato evolutivo superato
dall’uomo moderno; il padre che si cerca è un padre “umanizzato”, capace di mostrare,
attraverso la testimonianza della propria, che la vita può avere un senso. Si
sta attendendo oltre al padre anche l’eredità paterna. La condizione dei
giovani-Telemaco di oggi, infatti, è quella di essere totalmente diseredati:
assenza di un futuro, caduta del desiderio per la vita, precarietà
dell’esistenza spirituale e materiale. Le generazioni contemporanee vivono
appieno la “notte dei Proci”; stanno ereditando, se di eredità si può parlare,
un mondo morto, una terra sfiancata, un’economia impazzita e la mancanza di
speranza.
In questa situazione così
delirante e deludente quale possibilità può essere proposta nei rapporti tra
padri e figli?
Leggere la situazione attuale e
pensare a Telemaco come elemento di paragone significa individuare l’espressione
più alta e giusta dell’Anti-Edipo: egli non è né vittima del padre, né si
schiera ottusamente contro il padre. Telemaco è l’icona del figlio che attende
che “qualcuno” si comporti da padre; è colui che abbracciando il suo ruolo di
figlio accede alla dimensione di erede. Recalcati, infatti, scrive che l’atto
di ereditare non si compie come un travaso di beni o di geni da una generazione
all’altra, né è un diritto sancito per natura. L’eredità è un movimento
singolare, privo di garanzia, che ci riporta alla nostra matrice inconscia. È
una ripresa in avanti di ciò che siamo sempre stati, per ereditare non
significa colmare il buco aperto dall’assenza strutturale del Padre, ma
ricevere il dono e il desiderio della Legge della vita. Questo infatti è l’unico
dono che possa riscattare la vita dalla “notte dei Proci” (miraggio di una
libertà ridotta a pura volontà di godimento).
Da Edipo a Telemaco: quattro figure di figlio
Approfondendo il discorso sulla
figura del padre è inevitabile indagare quella del figlio, e infatti
individuiamo quattro tipologie di figli: il figlio Edipo, il figlio Anti-Edipo,
il figlio-Narciso e il Figlio-Telemaco. I primi due sono già noti negli studi
psicoanalitici in quanto protagonisti della teoria freudiana. Il figlio-Narciso
è, invece, una figura nuova nel panorama psicologico e psicoanalitico, per
quanto secondo la teoria di Recalcati sia una figura già tramontata: questa
figura sintetizza il periodo del cosiddetto “riflusso” che ha caratterizzato
gli ultimi decenni prima della grande crisi economica. Una crisi che si è
abbattuta su tutti i fronti e che ha portato poi alla nascita del
Figlio-Telemaco.
Con il figlio-Edipo si ha avuto
uno scontro tra generazioni, tra due concezioni diverse del mondo, con il
Figlio-Narciso si ha avuto un’assimilazione indistinta dei genitori con i figli
e di qui la totale confusione tra generazioni con un conseguente culto della
felicità individuale privo di legami con l’Altro. L’arrivo di Telemaco mostra
il simbolo più “giusto” di colui che è l’erede: consapevole del suo ruolo di
figlio è in grado di esserlo senza rinunciare al proprio desiderio di
realizzazione.
La confusione delle generazioni e le conseguenze
I rapporti scricchiolanti con le
figure parentali, il processo di omogeneizzazione delle generazioni, il culto
di un’educazione senza limiti e responsabilità stanno creando non pochi disagi
e problemi alle nuove generazioni. Queste dimostrano tutta la loro incapacità e
difficoltà nel vivere serenamente il mondo che li circonda già a partire
dall’adolescenza. Allora, quale Legge arriverà per loro ad indicargli la via?
Vediamo assieme alcune delle problematiche più rilevanti oggi nelle relazioni
umane che sono frutto di rapporti parentali sciolti da vincoli di
responsabilità.
Tra i temi che Recalcati ha trattato quell che più mi ha interessato è legato all'uso degli oggetti tecnologici tra i giovani:
Tra i temi che Recalcati ha trattato quell che più mi ha interessato è legato all'uso degli oggetti tecnologici tra i giovani:
Uno degli aspetti più
sconcertanti negli studi psicoanalitici dei nostri tempi è legato alla sindrome
depressiva dilagante. La depressione sta investendo sempre di più i giovani e gli adolescenti. Lo si
può vedere nella loro mancanza di interesse, nella loro letargia, nella mancanza
di slancio e di desiderio per la vita. L’adolescenza è la fase in cui si
manifesta la spinta ad avere un desiderio proprio che non si conforma a quello
dell’Altro; ma oggi questo desiderio è soffocato dalla presenza di telefoni cellulari e computer. L’oggetto tecnologico ha creato un Altro virtuale che sostituisce
l’impatto con l’Altro reale. L’oggetto tecnologico non funge da
simbolo, ovvero non segnala il vuoto, bensì, come un medicinale, riempie e
anestetizza il vuoto. Per desiderare qualcosa bisogna sentirne la mancanza,
quest’ultima alimenta il desiderio della ricerca della cosa mancante, ma nel
momento in cui uno strumento tecnologico dà l’impressione di essere ovunque, di
avere amici e amori on-line.
La nostra società ripudia il vuoto, ripudia il silenzio sia esteriore che interiore e per questo offre mille modi per riempirsi. Il riempimento però è sempre quello di un vuoto che cresce ancora di più.
Bibliografia:
Carotenuto, A., Lo sviluppo del bambino nel pensiero di Erich Neumann La nostra società ripudia il vuoto, ripudia il silenzio sia esteriore che interiore e per questo offre mille modi per riempirsi. Il riempimento però è sempre quello di un vuoto che cresce ancora di più.
Bibliografia:
Morganti, Monica, Figlie di padri scomodi. Comprendere il proprio legame col padre per
vivere amori felici, FrancoAngeli, Milano, 2009
Recalcati, Massimo, Cosa resta del padre?: la paternità nell'epoca ipermoderna. R.
Cortina, 2011
Recalcati, Massimo, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre,
Feltrinelli, Milano, 2013
Yablonsky, L. Padri e figli: il più arduo e stimolante di tutti i rapporti. Astrolabio, Roma 1988.
Yablonsky, L. Padri e figli: il più arduo e stimolante di tutti i rapporti. Astrolabio, Roma 1988.



