sabato 20 aprile 2019

EPISTOLARIO DI ABELARDO ED ELOISA

Una cosa che mi ha sempre colpita, in parte negativamente, è stata la ciclicità dei rituali religiosi.
Tra qualche giorno si avvicina Pasqua che, assieme al Natale, è le festività più celebrata e "sentita" della religione cattolica. Eppure, mi sono spesso chiesta: "Perché ogni anno si ripetono le stesse cose? Perché non concentrarsi mai su episodi diversi della vita di Cristo? Oppure, se proprio devono essere gli stessi, perché affrontarli con gli stessi dati, le stesse frasi, le stesse pratiche?" Qualche risposta l'ho trovata, guarda caso in un libro di antropologia e qui, descrivendo i rituali, l'autore spiega i perché di molte loro caratteristiche quali la ripetitività, l'autorità intrinseca, la sua dimensione coreografica:
Il rituale comporta spesso un elemento di spettacolo o di esibizione. [...] un modo che lo distingue dal corso ordinario della vita.
[...] il rituale trasmette essenzialmente l'autorità, è uno strumento della tradizione [...] Quando si partecipa ad un rituale si avverte spesso il peso della tradizione [...] il sentirsi parte di qualcosa di più grande. [...] Il rituale a senso unico esercita tale autorità [...] disciplina i partecipanti - proprio perché usa un copione predefinito: preghiere formali, momenti lliturgici, inni nazionali eccetera. [...] In un rituale non è previsto che scogitiate nulla di nuovo mentre procedete nella sua celebrazione. M.Engelke Pensare come un antropologo,pp.170-71
Ancor prima di trovare questa appena citata lettura ho comunque tentato di darmi una risposta alla domanda "Perché ripetiamo sempre le stesse celebrazioni? Perché il rituale è sempre lo stesso tanto nelle forme quanto nei contenuti?" E come succede a chi si chiede e domanda, mi sono risposta da sola: "Forse la ciclicità permette all'uomo di entrare meglio nelle anse dell'evento celebrato, di ricercarne ogni volta una comprensione più profonda e ampia?!" Nonostante la mia idea non abbia trovato conforto in alcun testo nonché in alcuna celebrazione, continuo a credere nella sua possibilità, soprattutto alla luce dello svuotamento attuale di qualsiasi senso e significato dei simboli, qualunque essi siano.

Ecco perché oggi ho deciso di parlare di Abelardo ed Eloisa
Credo che molti si chiederanno perché. Il perché lo scoprirete leggendo. 


La storia di Abelardo ed Eloisa sicuramente è conosciuta da molti, se non moltissimi, studiosi e non. Il loro amore proibito, testimoniato dalle lettere che si sono scritti, costitusce uno degli episodi della tradizione medievale che nei secoli ha esercitato un gran fascino. Non scriverò di questo amore, né delle lettere che si sono scambiati - non sarebbe di mia competenza. Tuttavia, ritengo sia il caso farne un breve accenno. 

Abelardo, brillante magister della scuola cattedrale parigina, nel fiore degli anni conosce Eloisa, giovane nipote di un canonico della cattedrale. Ospitato dalla casa di quest'ultimo e divenuto precettore della fanciulla, i due si innamorano e lei poco dopo rimane incinta. Sopraggiunge un matrimonio riparatore, ma la famiglia di lei ha comunque sete di vendetta e una notte dei sicari sorprendono Abelardo nel sonno e lo evirano. A causa della disperazione e della vergogna che lo prendono decide di farsi monaco a Saint-Denis, mentre Eloisa prende il velo nel monastero di Argenteuil. Tuttavia, il filo rosso che lega le vite dei due amanti non si spezza e a distanza di pochi anni Abelardo, ormai abate dell'abazia bretone di Saint-Gildas, dona l'oratorio della Trinità presso Troyes alle monache cacciate da Argentuil, delle quali Eloisa ne fa parte. Riprendono i fitti rapporti che continuano anche dopo la fuga di Abelardo da Saint-Gildas alla volta di Parigi. Egli per Eloisa e le sue consorelle compone sermoni, testi liturgici ed esegetici. Proprio in questi anni parigini vede forse la luce l'insieme delle otto lettere indicate come Epistolario di Abelardo ed Eloisa.

Quetso dialogo epistolare narra la doppia vicenda spirituale dei protagonisti che li conduce al superamento di una condizione interiore di sofferenza. Per Eloisa questa vicenda si realizza in una trasformazione del suo amore tutto terreno e carnale in un innallzamento all'amore spirituale, dove trova una soluzione l'impossibilità di pentirsi della perduta felicità amorosa, da lei più volte lamentata. Il loro amore trova un coronamento nella corrispondenza epistolaria e nella consolatio dapprima personale e man mano più di carattere dottrinario.

Ma veniamo al punto che ha attirato la mia attenzione, sto parlano della VII lettera che Abelardo indirizza alla amata, Risposta alla stessa sull'autorità e la dignità dell'ordine delle monache
In questa lettera Abelardo traccia un excursus sull'origine del monachesimo femminile e illustra la sua teoria sulla distinzione tra uomo e donna nel cammino di fede. 
Sorella carissima, alla tua carità, che per te e per le tue consorelle chiede di conoscere l'origine della tua professione religiosa, donde cioé sia sorta la vita religiosa delle monache, io risponderò in breve e sinteticamente, se ci riuscirò.
Questa lettera è in risposta alle domande che Eloisa gli pone a conclusione della VI lettera. 
Leggiamo (Ev.Luc., 8,2), infatti, che, insieme agli apostoli e agli altri discepoli, e con la madre di lui, c'era una comunità di sante donne, donne cioé che, rinunciando al secolo e spogliandosi di ogni proprietà per possedere solo Cristo [...] con devozione compirono quel comandamento dal quale iniziano tutti quelli che si convertono [...] "Chiunque non rinunzierà a tutto ciò che possiede non potrà essere mio discepolo".
Abelardo, servendosi di esempi di donne tratte dal Nuovo e Antico Testamento lascia emergere la forza, il coraggio e la devozione delle donne che supera di gran lungo quella degli uomini, nello specifico degli apostoli. 
La storia sacra racconta accuratamente con quanta devozione queste donne santissime e veramente monache seguirono Cristo, e quanta riconoscenza e quanto onore tributarono alla loro devozione tanto lo stesso Cristo quanto poi gli apostoli.
E difatti, Abelardo quasi elenca la schiera delle donne che seguirono Cristo:

L'episodio in cui Simone il Fariseo invita Cristo nella sua casa e una donna peccatrice, durante il banchetto, si accosta al Signore e piangendo gli bagna i piedi di lacrime, li asciuga con i suoi capelli e li unge di un unguento profumato. Ev. Luc., 7, 36
[...]venne da lui riproverato perché mormorava e che l'omaggio della peccatrice fu di gran lunga preferito alla sua ospitalità. 
Richiama l'episodio con Lazzaro che, resuscitato, era a tavola con gli altri e sua sorella Marta da sola si preoccupa di servire Cristo nei pasti mentre Maria, impegnata a versare sui piedi del Signore un unguento prezioso e profumato, riempì la casa di profumo. Ev. Marc., 14, 4
[...] e che dalla cifra che esso valeva, che sembrava così inutilmente sprecata, Giuda fu spinto alla cupidigia, mentre i discepoli se ne indegnarono. Mentre, dunque, Marta si preoccupa del cibo, Maria provvede all'unguento e colui che quella rinfocilla interiormente, questa, stanco, cura esteriormente. 
Il Vangelo non ricorda abbian servito il Signore se non donne, che utilizzarono anche i propri beni per nutrirlo ogni giorno, e che a lui procuravano in particolare il necessario per vivere. Egli si dimostrava con i discepoli servo umilissimo, servendoli a tavola e lavando i loro piedi; non ci risulta invece che da nessun discepolo o da nessun uomo abbia ricevuto simile servizio, ma che solo le donne, come abbiamo detto gli hanno reso queste e altre manifestazioni di umana gentilezza. 
E vengo ora alla parte per me più interessante:
[...] Ecco, egli accetta da una donna anche il sacramento della regalità, mentre aveva rifiutato di accettare il regno a lui offerto dagli uomini e aveva fuggito coloro che volevano rapirlo per farlo re. La donna compì la consacrazione del re celeste non del re terreno, di colui, io dico, che poi disse di sé "Il mio regno non è di questo mondo". I vescovi quando, ornati di vesti splendide e dorate, consacrano i sacerdoti. E spesso benedicono coloro che sono maledetti dal Signore. L'umile donna, senza mutar d'abito, senza ornamenti, tra l'indignazione degli stessi apostoli, somministrò questi sacramenti a Cristo non come officio derivato dal rango, ma per merito della devozione.  [...] Quanto i suoi unguenti siano ben accetti al signore, quanto a lui graditi, lo dichiara egli stesso quando chiede all'indignato Giuda che siano a lui riservate e dice: "Lasciatela fare affinché ciò serva nel giorno della mia sepoltura" [...] mentre i discepoli si indignavano di tanta presuzione da parte della donna [...] mormoravano contro di lei [...] egli, con la sua mitissima risposta, esaltò a tal punto il beneficio ricevuto da ordinare di farne menzione nel Vangelo, e da predire memoria in lode della donna [...] Anche la morte stessa del Signore mostra apertamente quanta fu la loro devozione verso di lui. [...]Infatti mentre il principe degli apostoli lo rinnegava, l'amato del Signore fuggiva, e gli altri apostoli si erano dispersi, esse restarono intrepide, e né paura né disperazione poterono separarle da Cristo sia durante la passione sia durante la morte [...] esse se ne stavano immobili anche presso il suo sepolcro [...]Dapprima esse furono consolate dall'apparizione dell'angelo che annunciava loro che il Signore era risorto, e [...] dopo aver visto l'angelo "uscirono dal sepolcro e corsero ad annunziare ai discepoli la resurrezione del Signore". [...] Da tutte queste affermazioni possiamo dedurre che le sante donne furono destinate ad essere apostole al di sopra degli apostoli, dal momento che, inviate a loro dal Signore e dagli angeli, annunciarono con gioia suprema della resurrezione, che tutti attendevano, affinché gli apostoli apprendessero prima per mezzo loro quello che poi dovevano predicare a tutto il mondo.
Le donne, dunque, hanno dimostrato di agire in concreto nella verità, con i facta hanno manifestato il loro amore, e con spontaneità sono giunte alla profondità delle cose. Il messaggio di Abelardo, in una società dove la donna era vista causa di tutti i mali e ancella del demonio, supera la misoginia diffusa e esalta la forza della donna che parlava poco ma agiva tanto e con sincerità.

Credo che sia chiaro ora il legame della lettera con l'evento pasquale, ma credo lo sia meno con il mio interrogativo sulla ciclicità dei rituali, o meglio sul dar senso alla ciclicità e ripetitività dei rituali.
Se un rituale e i suoi simboli, ormai svuotati di significati e ridotti ad un'occasione per far festa a scuola e a lavoro, per mangiare oltre la sazietà e per regalarsi oggetti senza nessun sentimento, vuole recuperare il suo valore allora dovrebbe allargare il suo orizzonte d'azione. Dovrebbe tracciare nuovi percorsi di lettura, far riemergere i significati più veri e spazzare preconcetti e false credenze... dovrebbe aprire gli occhi della mente, e questo compito spetta agli officianti religiosi e a quanti lavorano nel campo dell'istruzione affinché la ciclicità non significhi banale vacuità.

Ecco dunque spiegato questo lunghissimo post.

Credo fermamente nell'importanza della lettura, nell'acquisire nuovi punti di vista anche su questioni ormai acquisite come ordinarie e scontate, perché se l'uomo è come si dice un animale simbolico, lo è prima di tutto quando cerca di dare un senso a ciò che fa e ciò in cui crede, non quando segue un passato, una tradizione senza saper più né perché né come. E come questo bel testo mostra ci sono davvero tanti punti di vista inusuali e poco raccontati durante le messe o le ore di catechismo che riabilitano figure, come in questo caso quello della donna, da secoli condannata per un morso alla mela!

Buona nuova Paqua! 




Il testo e la relativa traduzione adottata è tratta da Epistolario di Abelardo ed Eloisa a cura di Ileana Pagani, Classici Latini, Autori dalla tarda antichità del Medioevo e dell'Umanesimo,Torino, UTET