domenica 7 marzo 2021

La verità che sfugge #3

Giusto un anno fa terminavo la lettura di due libri che mi erano stati consigliati. Apparentemente distanti l'uno dall'altro - uno il taccuino di appunti di Klemperer sull'uso mediatico della lingua durante il Terzo Reich (per scoprire di più potete leggere qui) e l'altro un saggio a quattro mani,  Neuroschiavi, di Marco Dalla Luna e Paolo Cioni sulla manipolazione linguistica e non, operata da diverse agenzie sociali -  e invece mi sono ritrovata immersa in un discorso intrecciato di rimandi  - ovviamente non voluti dai rispettivi autori - che sembrava quasi che l'uno dimostrava e spiegava l'altro. 

Ho deciso di presentarli ora, ad un anno di distanza perché mai avrei pensato che quanto letto potesse avere tanta aderenza ed attualità al contesto odierno. Certo, Neuroschiavi è attualissimo nelle analisi che descrive, ma le confinavo a settori come la pubblicità, le religioni e le propagande politiche, verso le quali, benomale, già si è avezzi. Eppure, con triste rassegnazione, mi sono dovuta ricredere e ho constatato che non si è preparati proprio per nulla.

Nel mentre mi dedicavo alla loro lettura, avevo ricevuto in regalo La storia ci salverà di Carlo Greppi.


Una dichiarazione d'amore, come lo stesso autore la detinisce, verso una disciplina così impoverita e strumentalizzata. La bellezza del suo testo sta non solo nel trattare fatti e accadimenti storici, ma anche nel presentare al lettore cos'è la storia e come entra prepotentemente nel nostro oggi.


In un mondo ipertecnologico, quale funzione può ancora assolvere lo studio della storia?
Proprio Bloch scrisse che «ogni libro di storia degno di questo nome» dovrebbe avere un capitolo intitolato “Come posso sapere ciò che mi accingo a dirvi?”». “Fare storia” significa da un lato narrare storie (ed emozionarci), e dall’altro ragionare costantemente sulla loro fondatezza, e sulla solidità delle tracce che ci portano a raccontarle – fonti eterogenee, dotate di una concretezza che va certo recuperata. E questo è più che mai necessario, nel mondo di oggi, dominato dalla dittatura del tempo presente e del virtuale, un mondo nel quale il concetto stesso di verità è costantemente sotto attacco.

Nel suo “manifesto per cambiare l’educazione”, Insegnare a vivere (Raffaello Cortina 2015), Edgar Morin ci invita a «conoscere la conoscenza, che è sempre traduzione e ricostruzione», e a imparare «a navigare in un oceano di incertezza attraverso arcipelaghi di certezza». «È stupefacente – scrive Morin – che l’educazione che mira a comunicare le conoscenze sia cieca rispetto a ciò che è la conoscenza umana […] e non si preoccupi per nulla di far conoscere cosa è conoscere». Sono parole che andrebbero scolpite nelle nostre scuole, e in generale in ogni ambiente in cui si fa formazione o informazione. A che serve la storia? A ragionare su noi stessi, sull’idea del mondo che ci costruiamo, sulla sua fondatezza appunto, sulla sua continua messa in discussione.  Per l' ntervista integrale all'autore Carlo Greppi qui.
L'autore mostra come lo studio delle esperienze del passato sia «una indispensabile ginnastica» per comprendere l'intreccio tra gli eventi e le loro conseguenze che non sono un frutto casuale e arbitrario del Tempo, ma dipendono in ultima analisi, dalla psicologia e dalla mentalità degli uomini». Dunque, lo studio della storia, sia essa passata o contemporanea dell'altro ieri necessita, da parte degli addetti ai lavori, non solo di metodo, esperti nell’esaminare il fondamento delle affermazioni che vengono formulate, di ricerca e di confronto delle fonti, ma anche di rintracciare costantemente quel legame tra accadimenti e mentalità soggiacente. 

Questo post nasce proprio sulla scia di queste sollecitazioni, per condurre un ragionamento, opinabile ma non negabile, sull'uso "terroristico" della comunicazione da parte dei media mainstream in questa pandemia e sugli effetti che questo ha avuto.

Per prima cosa vorrei segnalare a quanti non lo sapessero già che in data 10 novembre 2020:

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli che disciplina lo stanziamento dei 50 milioni di euro previsto dal “Fondo emergenze emittenti locali”, istituito dal decreto Rilancio.

Il provvedimento autorizza l'erogazione di un contributo straordinario in favore delle emittenti radiotelevisive locali che si impegnano a trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale, al fine di informare i cittadini sulle misure sanitarie introdotte per fronteggiare l'emergenza Covid. (link qui)

Se qualcuno non vede nulla di strano in questa operazione, be' sono problemi suoi, perché qualcosa di strano c'è: il finanziamento andrà alle emittenti radiotelevisive che si impegnano a trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale, ovvero "ti pago solo se ripeti quello che ti dico", come se le televisioni, le radio e i mezzi stampa non avessero già interiorizzato un unico verbo!

Questo dato è il primo da tenere a mente, anche perché spiega - tra le tante cose - come mai, pur cambiando continuamente canale, pur leggendo diversi quotidiani, il risultato non cambia: la notizia è sempre la stessa ed è recitata utilizzando lo stesso copione. 

Siamo costantemente bombardati da un unico diktat: più contagi serve distanziamento, chiusure e coprifuoco.

Ma siamo sicuri che sia davvero così? Sono mai stati condotti studi approfonditi che giustifichino, con dati alla mano, la validità di queste iniziative? La differenza tra sintomatici e asintomatici ha un qualche valore?  Qual è il senso del coprifuoco? È una pratica legittima e scientificamente utile? Ci sono defli studi a riguardo? Statisticamente quali criteri vengono usati per stilare le statistiche riportate sui suti ufficiali dello Stato: "mettiamo tutto e tutti nel calderone" oppure facciamo dei distinguo con tanto di criteri e variabili razionali, adottando - tanto per dirne una- la differenza, non solo linguistica ma sostanziale, tra morto per covid e morto con covid? 

Eppure l'abbiamo talmente interiorizzato - per molti è ormai normale routine - che guai se sollevi il dubbio l'aggressione verbale - per ora - è dietro l'angolo. Sento purtroppo persone con autorità, ma senza autorevolezza nell'ambito medico-sociale, che sono operazioni necessarie, finanche decisioni indispensabili per sopravvivere - questa è la maggiore delle sciocchezze ascoltate, anche perché esiste un sito, quello del ministero della Salute, che presenta a tutti coloro che vogliano perdere qualche minuto delle tabelle sull'andamento dei contagi, sul tasso di mortalità e sui soggetti mediamente registrati come decessi per/con covid. 

- Parentesi doverosa: nel conteggio, sin dalle estrazioni del Lotto della Protezione civile, col suo immancabile bollettino, non è mai stato distinto un decesso per da uno con covid. 

Questa non vuole essere sterile polemica perché essere trattati da persone non in grado di leggere, capire e porsi delle domande è sfinente, soprattutto se a ciò si aggiunge l'ottusità di chi, - in diversi contesti- indottrinato dal credo televisivo pensa che sia corretto inculcare urbi et orbi lo stesso messaggio, qui mi riferisco soprattutto ai docenti di vari ordini e gradi, che ultimamente mi paiono più degli ufficiali del governo che degli esseri autonomi e pensanti.

Insomma, se l'ha detto mamma TV posso solo ripetere il mantra come un pappagallo, ma non sono autorizzato né autorizzo gli altri a chiedere se effettivamente tutto questo ha una qualche validità, se si è dimostrato utile, se ha senso a livello medico, a livello sociale e - un aspetto tanto dimenticato da molti - a livello umano. 

Vi riporto uno dei tanti stralci che in riferimento al bombardamento d'informazioni sempre uguali e precotte che riceviamo, mi è ritornato in mente:

[...] Ritorniamo a Pavlov. Egli aveva già spiegato come la relazione dell'uomo col mondo esterno e coi suoi simili è dominata da stimoli secondari: i simboli linguistici. L'uomo impara a pensare in parole e nei simboli verbali datigli; e questi finiscono per condizionare la sua intera visione della vita e del mondo. [...] chi detta e formula dunque le parole e le frasi che usiamo, chi è padrone dei mass media, è padrone della mente. Ciò consente al regime di diminuire l'uso di strumenti di terrore, coercizione e repressione fisica in favore della manipolazione propagandistica. Lo strumento più adottato è la ripetizione, attraverso tutte le possibili fonti, per migliaia di volte, di determinati messaggi, concetti, schemi logici o pseudologici - ossia le verità ufficiali-, fino a che essi si traducessero in modelli di pensiero fissi e condivisi. Al contempo si schermava il popolo da messaggi alternativi. Neuroschiavi, pag.313 

Se pensiamo che oggi l'argomento principe è uno solo, decantato in mille contenitori mediatici ma dall'unico contenuto fondato sul terrore, se pensiamo che questo argomento viene ripetuto decine di migliaia di volte in ogni contesto: nelle scuole, a casa, a lavoro e in ogni comunità sia essa reale o virtuale, il passo è breve a che diventi - in realtà già lo è - un atto di fede incontrovertibile e chiunque cerchi di porre domande, sollevare dei dubbi, mettere in discussione e chiedere chiarimenti e le necessarie dimostrazioni non solo viene deriso ed etichettato - la mente imperante binaria concepisce unicamente due categorizzazioni  i "complottisti" e i "difensori della salute pubblica"- , ma viene fatto tacere da un soverchiante vociare vacuo degli esperti.

L'encefalo è costituito in modo da minimizzare il proprio lavoro, e soprattutto quello della consapevolezza e della critica. Le dottrine semplici, chiare, non smentibili [...] riescono quindi particolarmente attraenti. Ivi, p. 327

Ma il cervello è un ben strano specchio, che distorce alcuni aspetti del mondo, ne ignora altri e filtra ogni input che riceve sulla base delle esperienze pregresse. [...] la storia del cervello [...] influenza continuamente le sue immaginazioni e predizioni, le sue interpretazioni e speculazioni, le sue azioni e reazioni, persino ciò che vede e non vede. Ivi, pag.134

Ebbene sì, vogliamo tutti avere delle risposte certe, nette, semplici e per questo spesso banali e indimostrabili, che ci risparmino tanta fatica neuronale! Diventiamo anche ingegnosi nel liquidare fatti sgraditi portando al nostro mulino discorsi spesso privi di qualunque riferimento o fondamento, basati il più delle volte sul sentito dire o - ovviamente - su quanto appreso dalla TV. 

Ma siamo davvero chiamati in questa situazione ad essere così passivi, così privi di curiosità, dunque di legittimo dubbio? È questo il vivere sociale: accettare il comando del pastore e dirigerci tutt'insieme verso il percorso già battuto? 

Ancora prima di Neuroschiavi, già Pasolini  aveva denunciato i pericoli della televisione e l'effetto omologante che questa ha sui comportamenti, e oggi, anche sugli atti di fede acritica di pseudoscientismo largamente diffusi. E ancor prima di Pasolini, Klemperer aveva annotato come i mezzi d'informazione di massa giocano un ruolo fondamentale nell'insegnare come e cosa pensare:

La LTI rivolge il tutti i suoi sforzi a privare il singolo della sua natura di individuo, ad anestetizzare la sua personalità, a renderlo un elemento del gregge senza pensiero né volontà, spinto con violenza in una determinata direzione, a farne un atomo di un masso rotolante. LTI, La lingua del Terzo Reich, pag. 40  
C'è solo da chiedersi se questa parola, banalizzandosi, sia divenuta anche meno venefica. [...] Ma le cose non stanno proprio così. "La lingua che crea e pensa per te...". Veleno che ingerisci inconsapevole e che farà il suo effetto - non lo ricorderemo mai abbastanza. Ivipag.83 

Ne abbiamo fatto tesoro? La storia e i suoi insegnamenti sono giunti a ricordare - a tirare le corde del cuore - per farci porre delle domande? I pennivendoli nostrani hanno condotto analisi critiche dei dati e poi presentato i fatti sulla base di quelle? 

Ci troviamo così, senza nemmeno accorgerci, a maneggiare un linguaggio che non è originario (cioè non implica un prius, per significarlo), ma performativo, ovvero strumentale alla costruzione e al consolidamento di nuove realtà immaginarie: vengono create le formule e con le formule vengono creati anche i fenomeni, i quali poi sono montati, come la panna, dalla propaganda di regime, fino a materializzarsi in mostri di per sé inconsistenti ma terribilmente voraci. 
"Malascuola: Gender, affettività, emozioni: il sistema “educativo” per abolire la ragione e manipolare i nostri figli. Nuova edizione con aggiornamenti (Scienze umana e organizzazione sociale Vol. 10)" di Elisabetta Frezza

È innegabile, agiamo in funzione dell'unico messaggio ricevuto. Abbiamo smesso di farci domande terrorizzati come siamo dalla paura di ammalarci. La paura era ragionevole un anno fa, ora è cieca accondiscendenza. Abbiamo interiorizzato un concetto di salute unicamente biologico, dimenticando addirittura come si è espresso lo Stato nel 1978 a proposito della nascita del Servizio Sanitario Nazionale quando riferendosi alla salute parlò di benessere psico-fisico! Abbiamo scavalcato - e qui mi riferisco ai docenti di ogni ordine e grado - a gamba tesa tutto cio che ha portato alla nuova definizione di salute da parte delll'ICF :

L'ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.

Oggi la disabilità non è solo quella organica, da tempo si è superato questo modello squisitamente biologico, ma è un concentrato di sitazioni ostacolanti a livello fisico, psicologico e sociale alla piena espressione del sé.  Eppure anche questo principio è stato mandato alle ortiche. Come se non fossero mai esistiti questi studi. Semplicemente la priorità è diventata strettamente animale, dunque biologica, e in nome di questa salute biologica abbiamo ceduto non solo parte della nostra libertà ma anche parte della nostra dignità di esseri pensanti.

Quando il messaggio mediatico è ripetuto, ridondante e passa di bocca in bocca e persino negli ambienti deputati al ragionamento critico - alias scuola e università - la frittata è bella che fatta. 

Il mio amico Spamer, etnologo, che sa tutto su come nascono e si trasmettono le leggende, una volta, durante il primo anno dello hitlerismo, a me che inorridivo per lo stato mentale del popolo tedesco disse: "Se fosse possibile (e allora lo riteneva un'ipotesi irrealizzabile) accordare tutta la stampa, le pubblicazioni, tutti gli insegnamenti su un'unica nota e poi si insegnasse dappertutto che tra il 1914 e il 1918 non c'è stata nessuna guerra mondiale, nel giro di tre anni tutto il mondo crederebbe che non ci sia stata". La volta successiva in cui potei parlare un po' a lungo con Spamer gli ricordai le sue parole ed egli precisò: "Sì, me lo ricordo, è Lei però che ricorda male, non dissi allora: nel giro di tre anni, ma (e così penso anche io)nel giro di un anno!".  LTI, pag 143

La scuola non è più l'ultimo baluardo del pensiero critico, si è piegata volentieri col benestare di molti docenti, presidi e genitori, ad accettare indiscriminatamente una sua versione web di poca e dubbia sostanza; così come le università non sono più luoghi di riflessione che educano alla ricerca. Non si sente nessun grido autorevole levarsi dai loro "palazzi". Ciascuna istituzione è poco più che una larva di se stessa, piegata alla nuova funzione di diplomificio e laureificio. 

Ripetutamente in quegli anni, e con particolare intensità nelle settimane passate a Falkenstein, mi sono posto la stessa domanda cui fino ad oggi non sono riuscito a rispondere: come è stato possibile per gli intellettuali compiere un simile tradimento nei confronti della cultura, della civiltà e dell'umanità?  Ivi, pag.319 

Oggi la domanda ha una, seppur minima, risposta: i contenitori hanno smesso di avere la loro funzione e di conseguenza chi ne esce ha dimenticato da tempo cosa sia cultura, civiltà e umanità.