Questo post è il frutto di un lavoro di ricerca svolto due anni fa, al termine di un mio percorso di formazione. I dati raccolti hanno trovato conferma nelle esperienze di colleghi e colleghe coscienzios*: la DaD o DdI, che si voglia dire, ha creato tanti disagi pratici e immediati quanti profondi e a lungo termine sia negli apprendimenti che nella gestione emotiva di studenti e adulti.
Stiamo raccogliendo i frutti sfatti di una società ormai in malora, ancor prima della pandemia e dei suoi stati inesauribili di emergenza. La pandemia, la sua nauseante narrazione e la sua assurda gestione hanno portato a galla il marcio del nostro contesto sociopolitico, nonché della nostra non-cultura che, misti al programma dIstruzione scolastico (prendo in prestito una parte del il titolo del saggio di Pietro Ratto sulla scuola) hanno dato gli attuali risultati.
La mia lettura e critica della DaD parte da una visione globale del processo di apprendimento/insegnamento dove partecipano corpo, ambiente e emozioni, e solo in ultima parte i contenuti, di conseguenza un processo che non coinvolge queste tre sfere in toto e prova a sezionare l'essere umano e selezionarne delle parti, si riduce ad essere un aborto di se stesso i cui effetti non si esauriscono nelle gestioni d'emergenza. Se da un lato si proverà sconforto per quanto emerge, dall'altro sarà utile riflettere su un'istituzione in decadenza e ripensare alla formazione e all'essere esseri umani in un approccio integrato.
Vi lascio alla lettura della prefazione di questo studio, la versione completa verrà pubblicata su Academia. Edu.
La pandemia che stiamo vivendo, la sua narrazione e la sua cattiva gestione hanno messo a dura prova tutti noi, ma a pagarne di più sono soprattutto i bambini e gli adolescenti. Quest’ultimi, poi, si trovano in una fase della loro vita durante la quale dovrebbero esplorare sé stessi e il mondo circostante, confrontarsi con la realtà di tutti i giorni fuori dalle mura domestiche e affrontare esperienze uniche ed irripetibili sperimentando uno spettro maggiore di emozioni e non solo la paura e l’angoscia per il futuro. Le misure prese per contenere i contagi hanno di fatto richiesto ad ognuno di noi di vivere per lo più in casa, limitando i contatti fisici e relazionali con l’altro. Eppure diversi studi fanno emergere come in casi storici di emergenza e di eventi disastrosi di varia natura il sostegno sociale e le relazioni abbiano costituito dei fattori protettivi per il benessere e l’adattamento. Lo stare insieme ad altre persone favorisce, infatti, una migliore regolazione emotiva, gestione dello stress e resilienza. La quasi totale interruzione dei rapporti sociali al di fuori del proprio nucleo familiare domestico ha inciso sullo sviluppo di disturbi e malesseri psico-fisici generalizzati.
Gli adolescenti lontani da scuola, dai loro amici, dai locali, dalle piazze, dalle attività sportive e ricreative, hanno visto limitata la loro libertà di essere giovani e pieni di vita. La solitudine, la noia, il senso di frustrazione, l’insicurezza, la tristezza, nonché la rabbia hanno preso il sopravvento, portando i giovani a esperire un turbinio di emozioni disorganizzate e di forte impatto. Questa condizione emotiva, fisica e sociale non è senza conseguenze. Sono aumentati i casi di malessere psico-fisico, di dipendenza da device o stupefacenti, nonché, purtroppo, di azioni autolesioniste e di tentativi di suicidio.
La salute in un approccio sistemico e non parcellizzato e miope vede l’essere umano come unità strutturata e interconnessa, dove i sistemi psichici e biologici si condizionano reciprocamente. «La salute come la malattia dipendono in larga misura dall’organizzazione della vita intesa come vita sociale, le cui rappresentazioni fondano i comportamenti individuali.»
L'analisi focalizzata su dati tecnici e meccanici, dunque sulla natura umana in chiave biologica, portano generalmente ad una disattenzione per i sentimenti e per le necessità globali della persona. Questa visione è ben visibile nelle azioni che hanno interessato il reparto scuola.
A partire dal 24 febbraio 2020 le scuole di ogni ordine e grado sono state chiuse e messe in stand-by con il rito della DaD. La distanza imposta dall’isolamento fisico, erroneamente denominato sociale, ha portato i docenti a riconfigurare le proprie pratiche in modo da assicurare la continuità didattica. Ma questo non è fare scuola, la scuola è ben altra cosa: un luogo dove conta sia l’insegnamento disciplinare che quello che nasce dal contatto diretto con l’altro, tra docenti e studenti e tra studenti e i loro pari. Si poteva chiedere alla scuola di essere una base sicura nella quale i vari attori coinvolti potessero trovare conforto dall’ansia e dalla paura del contagio, curare le ferite della quarantena, prendersi cura dei dispersi e dei più fragili, insegnando (e imparando) come proteggere la propria salute con uno stile di vita e un’alimentazione sane; invece, le istituzioni hanno preferito chiudere le scuole con l’idea d’impedire il contagio. Un sacrificio che non ha tardato a mostrare i suoi effetti.
Con la DaD sono venuti al pettine alcuni dei nodi mai sciolti di un sistema scolastico poco solido e vitale, debilitato da gravi carenze e inadeguatezze. Come giustamente denuncia il giornalista Giuseppe Genna de L’Espresso “su scuola e sanità si gioca il futuro di un Paese, in entrambi è evidente che l’Italia è messa malissimo. La legge del mondo materiale è l’equilibrio, la legge del mondo morale è l’equità: stiamo mancando questo principio. È richiesto un pensiero sistemico”. Un pensiero sistemico avrebbe considerato ciascuno in un’ottica globale dove mente e corpo non si autoescludono ma si supportano vicendevolmente, e dove per ciascuna categoria vengono prese decisioni e provvedimenti ad hoc, non casuali e generalizzati.
Le scuole hanno fatto il massimo per adeguarsi ai protocolli di sicurezza eppure o vengono chiuse o le si apre al 50 per cento e su base volontaria. Se gli studenti hanno accettato volentieri questo compromesso all’inizio di marzo 2020 quando la chiusura è stata percepita come un’anticipazione delle vacanze, ora, ne stanno risentendo non solo negli apprendimenti ma anche nel loro equilibrio psico-fisico. A distanza di un anno le ricerche e le indagini condotte da vari enti hanno mostrato che sul lungo periodo gli effetti negativi delle chiusure indiscriminate e dei confinamenti domestici sulla salute psico-fisica e sull’apprendimento superano di gran lunga i teorici vantaggi di limitare i contagi.
La didattica a distanza, soprattutto per i bambini e i ragazzi, non può sostituire in toto l’apprendimento in presenza, per una serie di motivi:
- La mente umana è sociale, richiede l’interazione diretta come modalità di apprendimento dell’empatia, delle competenze sociali e della lettura della mente. Quando manca il contatto sociale diretto e significativo, specie nella fase dello sviluppo, si può manifestare più avanti nel tempo una personalità potenzialmente indifferente, violenta e antisociale.
- La DaD aumenta il rischio di isolamento sociale e di solitudine, che sono un determinante fattore di rischio psicosociale e sono correlati ad ansia, depressione, disturbi psichici, disturbi del metabolismo, disturbi del sonno.
- La DaD accentua le differenze personali, sociali ed economiche. La disuguaglianza delle opportunità educative tra gli studenti provenienti da famiglie di diverso status economico-culturale viene accentuata laddove gli studenti rimangono relegati in uno spazio familiare privo di opportunità per una vera crescita personale e culturale.
L’apprendimento tramite mezzi digitali è mediato e passa solo attraverso vista e udito, rendendo perciò impossibile tutta una serie di acquisizioni fondamentali, che sono possibili solo attraverso la manualità e l’interazione sociale diretta.
Anche i docenti non sono esenti da disagi, anzi. L’uso prolungato della DaD espone a stress lavoro-correlato: una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale dovuti a un’esposizione prolungata a pressioni più o meno intense. Inoltre, si deve considerare il peso emotivo che sugli insegnanti ricade in quanto sono alle prese non solo con i propri stati d’animo ma anche con quelli dei propri studenti animati da paura, irritabilità e sfiducia.
I cambiamenti continui, l’incertezza sul futuro hanno accentuato gli stati d’ansia e sfiducia sull’avvenire. Il passaggio alla DaD ha modificato equilibri e rutine, nonché ha imposto cambiamenti pedagogici e relazionali non previsti e ai quali non eravamo e non siamo pronti: non siamo pronti a spostare tutta la nostra vita sul computer!
Questa breve tesina vuole essere un ulteriore invito a fermarsi e riflettere sulle macerie che ci portiamo dietro a causa di un interminabile lockdown e della chiusura della scuola per studenti e docenti. Le ricerche sugli apprendimenti nazionali e internazionali, come suddetto, hanno mostrano un quadro sconfortante e questi dati dovrebbero essere letti alla luce di un ampliamento della visione di apprendimento come mera acquisizione cognitiva. L’apprendimento è un processo emotivo, sociale e fisico e non solo cognitivo, per cui un suo calo è un indicatore, un segnale di qualcosa che non va anche su altri piani. In una visione globale e non parcellizzata è chiaro che un cambiamento in una parte del fenomeno significa avere cambiamenti a cascata in altre parti di esso. A questo punto confrontando la definizione di apprendimento suddetta con quella di salute che dà l’OMS, uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità, si nota immediatamente come in entrambe valgono le componenti psicologico-emotiva, sociale e corporea. Quando una di queste componenti viene lesa o intaccata ne consegue che tutto il sistema ne è compromesso. Non si possono progettare aiuti di sorta agendo chirurgicamente su un solo aspetto senza tener conto dell’individuo nella sua globalità e del contesto familiare e sociale in cui vive quotidianamente. La scuola dal canto suo può sicuramente fare la sua parte rimanendo un baluardo sicuro di formazione e informazione, nonché di educazione alle emozioni e alla loro gestione sia per i docenti che per gli studenti. Si ribadisce l’importanza della scuola e della sua funzione educativa, dunque la sconsideratezza nel tenerle chiuse ad oltranza senza un piano mirato che integri, al di là delle interpretazioni regionali, la DaD alla presenza.