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Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo.Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent’anni e da
nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene.Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.O così credevo, fino a oggi.Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E all’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie paure, non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.
Anzi: benissimo.
Il romanzo di Gail Honeyman mi è capitato così, come si dice, quasi per caso. Probabilmente il caso ha giocato anche un po' con i miei attuali compiti, ma in effetti se non fosse giunto a me non l'avrei cercato. Allora, forse è meglio chiamare la circostanza un vero e proprio colpo di fortuna.
Ho iniziato a sfogliare le prime pagine sulla rivista il Libraio di maggio, e non so, condizionata da altri pensieri, non riuscivo a capire bene che genere letterario fosse, non intuivo come la trama si sarebbe evoluta, non comprendevo i comportamenti della protagonista, eccetto la sua naturale avversione per l'ovvietà. Quando però il romanzo è arrivato in libreria, bhe allora, lì sì che si è aperto un mondo, un mondo nuovo.
Come ho letto in molte recenzioni e commenti, ha qualcosa di assolutamente nuovo e indefinibile nel genere. Scrive, infatti, Elisabetta Migliavada, direttore della Narrativa e Vicedirettore Editoriale Garzanti, in un'intervista per il Libraio:
Questo romanzo possiede una forza narrativa che raramente ho riscontrato in altre opere. Incarna un ibrido letterario in cui confluiscono diversi elementi che vanno a creare un libro senza eguali. Perché c’è una protagonista irresistibile, imprevedibile, affascinante nel suo essere completamente fuori dal mondo e che tuttavia è per molti aspetti così vicina a ciascuno di noi, incarnando tutto quello che spesso non abbiamo il coraggio di fare o di dire.
Perché ha un ritmo paragonabile a quello di un giallo perfetto.Perché custodisce colpi di scena completamente imprevedibili. E regala al lettore un finale non scontato, molto vero e umano al punto nel posare il libro ti rendi conto che hai letto qualcosa che rimarrà, dentro di te a lungo, e nella storia della letteratura.
La protagonista, Eleanor Oliphant, è una giovane donna di circa trent'anni che lavora da nove anni come contabile in un'agenzia di graphic design. Non ha amici, non ama la vita sociale e passa tutti i suoi fine settimana a casa da sola. Legge di tutto per amore di un sapere enciclopedico e funzionale a risolvere le parole crociate del Telegraph, ama i classici latini e la Austen. Si dimostra molto sicura di sé, alle volte un po' troppo, un aspetto che ben si lega al suo totale disinteresse per l'integrazione sociale di qualsiasi sorta.
Sin da subito emerge il suo essere assolutamente cerebrale, analitica, osservatrice e anche un po' cinica. Tuttavia, nonostante tutti i suoi apparenti difetti, il suo personaggio ti prende per mano e ti porta alla scoperta di sè, una scoperta che anche lei in effetti è chiamata ad intraprendere.
Nelle prime pagine, e per buona parte del romanzo, lei si definisce così:
Sono sempre stata orgogliosa di cavarmela da sola nella vita. Sono l'unica sopravvissuta, sono Eleanor Olephant. Non ho bisogno di nessun altro: non c'è una grande voragine nella mia esistenza, nel mio puzzle privato non manca alcun tassello. Sono un'entità autosufficiente. O almeno è quello che mi sono sempre detta.
Ha una definizione per tutto, oltre che per se stessa, non a caso i cruciverba sono i suoi passatempi preferiti. Ha un carattere disincantato, privo di attenzione verso le regole sociali - anticonformista per eccelenza, ma senza essere appariscente - si esprime senza veli, dice esattamente ciò che pensa.
È interessante, durante la lettura, sentirsi dondolare tra i suoi pensieri e il modo in cui gli altri protagonisti, ignari di ciò che lei pensa e sente, reagiscono. Il suo comportamento, le sue reazioni alle volte sono spiazzanti, ma è innegabile il loro fascino. Pur essendo sincera come pochi, la sua sincerità si tinge di ironia, alle volte troppo sottile, tale da rendere le vicende quotidiane quasi divertenti. In motli episodi mi sono trovata a sorridere o a ridere di gusto, la sua onestà è così sorprendente che capovolge la "normale" lettura della vita di tutti i giorni. Ed è stato anche questo uno degli aspetti che mi è piaciuto molto: riscoprire l'ordinarietà nella sua banalità. Un apparente gioco di parole, ma solo leggendo il romanzo si può coprenderelo.
Tuttavia, serpeggia sempre un senso di velata e nascosta tristezza. Un passato incombente, non detto, taciuto, da lei volutamente nascosto... Non è chiaro cosa le sia accaduto, ma poco alla volta qualcosa emerge, sempre di più, fin quando la verità, spiacevole e triste, le si presenta e può solo affrontarla. Una verità che nasce in lei, Eleanor, che per anni ha cercato di annegarla tra lavoro, vodka, e brevi e taglienti conversazioni con la madre, per riportarla a rinascere.
E come spesso accade nella vita, solo quando Eleanor inizia ad aprirsi a qualcuno, quando lascia che Sammy e Raymond possano entrare nella sua vita, che inizia il cambiamento. Eleanor a sua insaputa, dà origine a quello che la stessa autrice ha definito un vero e proprio circolo virtuoso.
Il romanzo è sorprendente e regala passaggi inaspettati e imprevedibili, sino alla sua conclusione che non ha nulla di banale, anzi. La matassa della vita di Eleanor a metà del romanzo incomincia a dipanarsi e si scopre una persona diversa da come si era presentata al lettore e a sè stessa.. Peccato che il suo cammino è un work in progress, e che sia lasciato a noi lettori il compito di immaginarne l'evoluzione. Un'evoluzione che in modi diversi coinvolge anche il lettore e fa porre delle domande.
Non è un caso che Eleanor Oliphant sta benissimo, sia stato inserito dal Guardian nel filone emergente up-lit, che sta per uplifting, quindi “letteratura edificante”; si parla di romanzi che, chiusa l’ultima pagina, fanno stare meglio. Dopo aver chiuso l'ultima pagina ho sentito che il cammino di Eleanor è un cammino che in fondo tutti dovremmo intraprendere. Scoprire se stessi fa stare meglio!

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