mercoledì 5 settembre 2018

OH HARRIET!


Con i libri non ho mai avuto dubbi. Se entro in una libreria o in una biblioteca e giro un po' tra gli scaffali accade che il nome di un libro, un'immagine o un colore della copertina mi attira e voilà la scintilla della curiosità si accende. Prendo il libro, lo sfoglio, leggo un po' la trama e sento che non è stata pura coincidenza averlo scelto. Ormai sono così abituata a questi "colpi di fortuna" che mi ci affido completamente e non ne sono mai stata delusa. Ho fatto questa premessa perché è così che è incominciata con Oh Harriet!. Primo giorno di lavoro in libreria da sola: facevo una ricognizione tra gli scaffali e gli espositori, ripetevo i reparti e le sezioni per evitare di farmi prendere dall'ansia quando qualcuno mi avrebbe chiesto "Scusi, dove si trova..?", e mentre guardavo e riguardavo i libri, cercando di memorizzarne le collocazioni, nella sezione ragazzi, di costa, c'era lui, il libro di Francesco D'Adamo che mi ha chiamata. Non ho esitato, l'ho preso e ho letto come sempre la trama e alcuni cenni sull'autore. Il libro si è rivelato molto, ma molto meglio di quanto era riportato sulla copertina. Come a dire che il sesto senso va oltre i dati razionali: il libro mi è piaciuto ed è stata una scoperta sotto vari punti di vista.

Iniziamo con ordine:


Billy Bishop è un giovane cronista dell'Herald Tribune di New York, vorrebbe dimostrare la sua bravura e il suo valore scrivendo sull'evento che fece Storia nel 1912, ovvero l'affondamento del Titanic, ma, come spesso succede agli ultimi arrivati, gli viene affidato un pezzo apparentemente di poco conto, un'intervita ad una vecchietta, una certa Harriet Tubman. 

«Una vecchia nera, esordisce il suo vice capo redattore Chuck, «si chiama Harriet Tubman. Sta da qualche parte a Cayuga. C'entra qualcosa con quella storia dei diritti civili, lo schiavismo ... Sai, roba da negri. Occhio! Bruce ci tiene». Bruce era il redattore capo, per cui Billy, obtorto collo, si reca e vede i suoi sogni di carriera allontanarsi sempre più.

La vita, però, era stata più generosa di quanto gli era parso. 

In una casa di riposo Billy incontra Harriet, una vecchietta malata e gracile, che non mostra alcun interesse né per lui, né per il suo tesserino e né per il NYC. Se Billy pensava di parlare con una vecchia rincitrullita di novant'anni si sbagliava di grosso. Nonostante l'età e la malattia Harriet non ha perso né la forza né la sua sfrontatezza che disarma il giovane cronista fino al punto di mollare tutto e partire laddove si stava scrivendo la "vera cronaca mondiale". Qualcosa, però, ferma Billy dal partire, qualcosa che va oltre l'aver conosciuto la vita e le disgrazie di un' ex schiava. Lo ferma il coraggio e l'umanità che il racconto di Harriet contengono. Billy scopre una donna che ha fatto della sua vita un dono, una donna che un giorno, ancora ragazza, ha deciso che doveva liberare i neri d'America dalla schiavitù e l'ha fatto concretamente. Il giovane cronista impara qualcosa di fondamentale:
«Forse la storia che sto raccogliendo qua e là è più importante del Titanic, anche se non finirà mai in prima pagina e non verrà mai letta da milioni di persone. Ma, vedi, sto cominciando ad imparare una cosa: le storie importanti non sempre sono quelle che finiscono in prima pagina».
Allora, chi era Harriet Tubman? Inizio col dire che è un personaggio realmente esistito e che l'autore, Francesco D'adamo, come scrive in Nota d'autore, l'ha "incontrata" per caso mentre faceva delle ricerche sulla Underground Railroad, ovvero una rete di strade nascoste e percorse da migliaia di schiavi neri diretti dal sud delle piantagioni americane al Nord America, alla conquista della propria libertà. Questa strada venne percorsa anche da Harriet che, dopo la fuga e l'ottenimento della libertà in Pennsylvania, assieme ad altri Railroads ripercorse più e più volte, avanti e indietro, per portare in salvo altri schiavi. Ed è per questo che Harriet Tubman venne soprannominata la Mosé degli afroamericani.
La storia di Harriet, come quella di altri Railroads - ad esempio Peg Leg Joe, sempre raccontata da D'Adamo in Oh Freedom! - fanno parte di quelle storie poco note, nascoste, eppure così importanti per la nostra storia sociale e direi anche personale. Credo che imparare da chi ha avuto la virtù della ricerca della libertà e ci ha provato senza chiedere in cambio né prime pagine, né fanfare e né glorie, sia da tenere come esempio e come guida. Oltretutto, pensare che a far tutto questo è stata una donna, una donna con problemi di salute e con tutte le difficoltà del caso, lo trovo straordinario. La sua storia e il suo esempio regalano una boccata di fiducia nelle proprie possibilità - perché rimane sempre vero che anche una sola persona può fare la differenza - e nel genere umano, che per fortuna non è ristretto alla sola cronaca da prima pagina. 
Vi lascio con una frase che il personaggio di Harriet dice a Billy e che mi sembra abbia una forte attualità:
«Erano ancora cuccioli nel cuore e avevano paura di tutto quello che non conoscevano. Meglio continuare la vita da schiavi che affrontare l'ignoto. Ti sembra strano, ragazzo? La libertà chiede fatica e passione, mica la trovi per strada, e ci sono tanti che la libertà non la cercano perché non sanno cosa farsene».

Buona lettura e alla prossima!

1 commento:

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