
Il libro che oggi vi presento lo si potrebbe definire una sorta di continuazione e completamento del precedente libro, La biologia delle credenze: difatti, ampliando il campo di indagine, precedentemente incentrato sull'individuo e sulle connessioni tra le cellule umane e l'ambiente, l'autore passa allo studio dell'uomo occidentale nella sua organizzazione sociale, riconoscendo come nella nostra società possiamo ritrovare le stesse dinamiche e leggi che regolano la vita delle nostre cellule. Come le nostre cellule, diverse ma integrate, collaborano per la vita dell'intero organismo, così l'essere umano dovrebbe, oggi più che mai, essere spinto a ritrovare la propria responsabilità rispetto al mondo di cui fa parte.
Riporto, a tal proposito, le parole di Stefano Berlini, fisioterapista e membro-coordinatore di progetti nel gruppo romagnolo Cambio di Marea, che afferma con molta saggezza come:
la salute del bene comune è quella tappa della civiltà in cui ciascuno sviluppa pensieri e azioni non rivolti al proprio benessere, ma allo sviluppo della salute di tutti, proprio perché cosciente che da questo agire derivi il suo stesso bene.Nella comprensione di un modello basato sulla salute come bene comune collassano tutte le forme di competizione, vittoria, autolesione, individualismo; è un evoluzione del modello antropologico e sociale tale da portare con sé evoluzioni genetiche\epigenetiche ad oggi non misurabili. (qui intera intervista)
Bisogna comprendere che le credenze collettive di una cultura o società influenzano anche la nostra biologia e il nostro comportamento personale. La coscienza collettiva dominante oggi si alimenta di paure, odio, guerre, sofferenza, malattia e morte.
Davanti alla malattia ci sono due vie percorribili: la guarigione e la compensazione, ma la società occidentale moderna non contempla la prima possibilità. (intervista)
Questo paradigma è ben visibile in ogni manifestazione umana: nel campo dell'economia, della medicina, dell'educazione, della religione, delle tecnologie...
Ai nostri programmi subconsci individuali si aggiungono le credenze collettive invisibili detenute dalla società. [...] Considerate che le nostre percezioni culturali subconscie siano in realtà credenze condivise e, pertanto, a loro volta invisibili agli altri. Poi pensate a come questa situazione renda tali credenze più dannose. (p.73)
Il merito dell'autore è il desiderio di ampliare il campo di coscienza del lettore, rendendolo consapevole dei paradigmi sociali assimilati, che per loro natura non sono né buoni né cattivi, ma rappresentano lo stato di consapevolezza attuale. Il problema si pone quando questo non è compreso e si crede che questi paradigmi siano reali e non delle creazioni intellettuali.
[...] la funzione del nostro cervello è di creare coerenza tra le credenze del nostro subconscio collettivo e la realtà che sperimentiamo nel nostro mondo. (p.73)
Questa funzione è ciò che ci consente di creare la realtà, ma questa, al di là delle nostre percezioni, pensieri ed esperienze, non ha alcuna validità poiché è il frutto, momentaneo, dei modelli sociali ed esperenziali immagazzinati nel nostro sistema nervoso.
Ciò che possiamo fare è scoprire i meccanismi e i paradigmi che ci consentono di creare le nostre realtà e, a partire da questa consapevolezza/conoscenza, imparare a cambiare marea. Tutti noi agiamo in base al nostro livello di consapevolezza, ciò vuol dire che ampliando la nostra consapevolezza diveniamo più responsabili e partecipi al processo della vita personale e collettiva.
Nel mio libro precedente, La biologia delle credenze, l’attenzione era posta sul modo in cui i nostri atteggiamenti e le nostre emozioni controllano la nostra fisiologia, biologia ed espressione genetica. Il libro era incentrato su come le nostre credenze personali influenzano la nostra realtà individuale. Ma c’è qualcosa di più profondo da imparare, ed è che le credenze collettive di una cultura o società influenzano anche la nostra biologia e il nostro comportamento personale.
La società sta iniziando a riconoscere che le nostre attuali credenze collettive sono dannose e che il nostro mondo è in una posizione molto precaria. Così ho pensato che fosse ora di diffondere un messaggio che spiegasse come la nuova biologia e le altre intuizioni del mondo scientifico possano essere applicate alle nostre credenze sociali aiutandoci ad affrontare le minacciose situazioni che attualmente ci troviamo a fronteggiare.
In questo lavoro io pongo l’attenzione sulla biologia, sulle credenze e sul comportamento. (B.Lipton p.7)
In collaborazione con il filosofo della politica Steve Bhaerman, Lipton invita i lettori a riconsiderare:
- gli "indiscutibili" pilastri della biologia, che includono l'evoluzione casuale, la sopravvivenza del più adatto e il ruolo del DNA;
- la relazione tra mente e materia;
- come le nostre credenze sull'ambiente e sulla natura umana plasmano la nostra politica, la nostra cultura e la nostra vita individuale;
- come ciascuno di noi può diventare una "cellula staminale planetaria" sostenendo la salute e la crescita del nostro mondo.
La nostra civiltà si trova attualmente in uno stato di disorganizzazione e disintegrazione. In questo momento siamo nel disperato bisogno di un progresso evolutivo e non abbiamo tempo per una evoluzione lenta e graduale. Alla luce della crisi che stiamo affrontando, sembra che la civiltà si trovi in mezzo agli spasimi di una interpunzione. (p.9)
Per coprendere meglio quanto ciascuno di noi è importante per la collettività, vi riporto la storia, piuttosto famosa, narrata da Lyall Watson in Lifetide: la centesima scimmia.
Riguardava il comportamento di un gruppo di macachi che avevano imparato spontaneamente a lavare le patate per eliminare la sabbia e altre incrostazioni prima di mangiarle. Le prime scimmie imparavano faticosamente la tecnica dai primi macachi che avevano cominciato a lavare le patate. Watson affermò che improvvisamente, dopo che novantanove macachi avevano dovuto apprendere la tecnica nel modo consueto, una centesima scimmia aveva anch'essa imparato a lavare le patate. Da quel momento un gran numero di scimmie, non solo nella stessa isola ma persino in altre isole molto lontane, avevano cominciato a lavare le patate prima di mangiarle, senza aver avuto contatti diretti con il gruppo originario.
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