Durante gli anni universitari ho riscoperto il piacere di parlare nel mio dialetto: a casa, per strada, nei negozi mi divertivo con la mia amica di allora a "metter su" lunghe conversazioni o semplici e divertenti commenti in lingua. Mi sembrava un buon modo per non farmi comprendere e poter chiacchierare apertamente in una terra straniera (in realtà, scoprii che avevo molti fratelli e sorelle di lingua anche a più di 500 km di distanza da casa). Con il tempo, ambientandomi e sentendomi più a casa, continuai l'uso del dialetto, ma più per praticità: contenuti precisi e istantanei! Questa mia riscoperta linguistica mi ha portata a indagare i dialetti altrui, soprattutto quello della città in cui vivevo. Sebbene poche siano state le persone del luogo che ho conosciuto, ho sempre domandato qualche traduzione di parola o frase nel loro dialetto. E che magre scoperte!!! I miei coetanei o poco più non lo conoscevano, e spesso mi dicevano "il dialetto a casa lo parlavano i miei nonni. Lo capisco, ma non lo so parlare!". . .
Poi così, per caso ho conosciuto un'anziana signora, una vispa gattara, una bolognese doc, la Signora Lea! Che divertimento sentirla parlare in dialetto, soprattutto quando era a casa con il marito: battute, fugaci litigi da una stanza all'altra, commenti, in questa lingua che sembra cantata! Non capivo molto e spesso le facevo ripetere intere frasi per imparare quei suoni così lontani dai miei.
Non ho memorizzato granché di quelle lezioni, ma è rimasto quel fascino, quel piacere uditivo, che quest'oggi si è risvegliato sentendo recitare una poesia di Raffaello Baldini. Poeta romagnolo di Santarcangelo di Romagna. Lui, assieme a Tonino Guerra e Nino Pedretti, sono stati i più grandi poeti dialettali del secondo Novecento.
C'è da dire che in Emilia Romagna esiste una ben definita e difesa distinzione tra romagnoli ed emiliani: si distinguono per dialetti, cucina e modi di essere. Per cui è una cosa seria! Questo è stato un concetto fondamentale che, nelle mie ricerche linguistiche, mi è stato ribadito.
Eppure, per me che non conosco i vari dialetti della regione e che non ho interiorizzato detta distinzione, trovo una musicalità condivisa. Come un sottofondo comune pur nelle diversità.
Ho sbirciato il volume Intercity di Baldini edito da Einaudi, ed ho trovato delle poesie davvero belle. Un po' per provare e un po' per ridere ho provato a leggerle ad alta voce. Ci capivo ben poco, ma mi è piaciuto l'ilare esperimento. Per fortuna che il testo presenta la traduzione in lingua italiana curata dallo stesso autore, e così i suoni disarticolati hanno preso senso.
Una poesia della raccolta che mi ha colpita e che ho voluto riportare è In dèu. Buona lettura e buon ascolto!
In Dèu
a l dégh sémpra ènca mé, in déu l’è e’ masum,
par stè insén, s’ t vu stè insén, in dis, in véint,
cmè t fè a stè insén?
la zénta invici u i pis d’ ès una masa,
“A sérmi una trentéina,
senza cuntè i burdéll”, e i è cuntént,
“A stèmm insén”,
ch’ u n vò di gnént, t staré tachèd, no insén,
piò ch’a séi e pézz l’è,
stè insén l’ è un’ èlta roba, ta n t n’ incórz?
no, i n s n’ incórz,
lòu, ès un póch l’è cmè no èsi, lòu
i à bsògn da ès in tint, in zént, in mélla,
in dismélla, in zentmélla,
che mè, ai so stè ‘nca mè,
par San Martéin, ma la festa dla Piva,
magné, bai, t chènt, t réid, t rògg,
parchè t chin rògg, l’è tó un rugiadézz,
se no ta n t sint, e par lòu l’è alegréa,
ch’ l’era un caséin, e mè alè zétt te mèz,
‘ s ‘ ut ch’ a t dégga, u m pareva, mo dabón,
d’ès da par mè,
invici in deu, tè e li, la sàira, ad chèsa,
a un zért mumént t smórt la televisiòun,
t ciacàr un po’, li la va ‘dlà, la tòurna,
sorpresa! du gelè,
t vu crema o cecolèta?
pu d’ogni tènt u s scapa, u s va ti pòst,
a magnè fura, e’ cino,
e’ cino l’è una roba,
cmè da burdéll al fòli,
u s sta lè tòtt disdài, zétt, incantèd,
s’ u t vén dal vólti da dí quèl, di dri
u i è sempra éun che ragna: ssst! silenzio!
pu Fine, u s zènd al luci,
l’è cmé svigés, t stè so. e e’ basta un gnént,
che ta i tèn e’ capòt, che la s l’ inféila,
ch’ ta la strènz, no una masa, sno sintéila.
In Due
Lo dico sempre anch’io, in due è il massimo,
per stare insieme, se vuoi stare insieme, in dieci, in venti,
come fai a stare insieme?
la gente invece gli piace d’essere in tanti,
“Eravamo una trentina,
senza contare i bambini” e sono contenti,
“Stiamo insieme”,
che non vuol dir niente, starai attaccato, non insieme,
più siete e peggio è,
stare insieme è un’altra cosa, non te n’accorgi?
no, non se n’accorgono,
per loro, essere in pochi è come non esserci, loro
hanno bisogno d’essere in molti, in cento, in mille,
in diecimila, in centomila,
che io, ci sono stato anch’io,
per San Martino, alla festa della Pieve,
mangiare, bere, canti, ridi, urli,
perché devi urlare, è tutto un urlio,
se no non ti senti, e per loro è allegria,
che era un casino, e io lì zitto in mezzo,
cosa vuoi che ti dica, mi pareva, ma davvero,
d’essere solo,
invece in due, tu e lei, la sera, in casa,
a un certo momento spegni la televisione,
chiacchieri un po’, lei va di là, torna,
sorpresa! due gelati,
vuoi crema o cioccolato?
poi ogni tanto si esce, si va nei posti,
a mangiar fuori, al cinema,
il cinema è una roba,
come da bambini le favole,
stanno tutti seduti, zitti, incantanti,
se ti viene delle volte da dir qualcosa,
dietro c’è sempre uno che protesta: ssst! silenzio!
poi Fine, si accendono le luci,
è come svegliarsi,ti alzi, e basta un niente,
che le tieni il cappotto, che se l’infila,
che la stringi, non molto, solo sentirla.
Raffaello Baldini, Intercity, Einaudi, 2003
http://www.einaudi.it/libri/libro/raffaello-baldini/intercity/978880616635
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