Prepararsi ad un concorso non è mai facile: per quanto possa piacere la destinazione futura in caso di riuscita, nel mentre mesi e mesi di studio aspettano il candidato, mesi che faranno ancorare la fantasia e la speranza saladamente a terra. Infatti, negli scorsi mesi di studio, da un po' conclusi, nel marasma di nozioni, teorie, nomi, anni e definizioni, un libricino mi ha aiutata a non perdermi e a dare un senso un po' più nobile al mio sforzo. Come spesso succede il senso delle azioni che compiamo è strettamente legato, nella nostra società, ad affermarci e a ricoprire un ruolo.
Il "ruolo"... Parola dai retroscena oscuri ..
Bene, in questa affannosa ricerca di "un ruolo", questo libro mi ha indicato che non ci sarà alcun "ruolo" se non c'è una profonda consapevolezza di quanto si andrà a fare. Educare, insegnare non sono questioni di ruolo - o meglio non dovrebbero esserlo - né questioni di punteggi, né di graduatorie raccogli punti, sono invece inclinazioni dello spirito.
Insegnare è un'arte, è l'arte di saper tradurre un certo oggetto ai ragazzi. Paola Mastrocca, La scuola raccontata al mio cane, p.132
Educare poi, è l'abilità che soggiace all'arte dell'insgenare. Dietro ogni bravo o brava insegnante c'è anche un bravo educatore o una brava educatrice. Strano, invece oggi, che per scegliere un buon insegnante si ricorra a test e prove di carattere mnemonico. Queste prove diranno per davvero chi può o no svolgere tale delicato compito? Non si rischia di scegliere solo dei dottor Frankestein, aspiranti al ruolo, interessati alle graduatorie della società scolastica? Io credo di sì: discorsi, sussurri, riflessioni e calcoli ascoltati non avevano che un ritornello: "così poi divento di ruolo"...
[...] non si parla più veramente, si "scambiano dei servizi": "io ti riconsegno il mio compito di francese; ho fatto quello che hai chiesto, con un'introduzione e una conclusione e senza errori di ortografia: allora mi aspetto il mio voto e siamo pari. Non mi chiedere di interessarmi anche del testo che mi hai dato da studiare. [...] Si fanno degli scambi e nient'altro. Meirieu, 2007, p.33
La scuola è sempre più un semplice servizio e sempre meno un'istituzione. La scuola si sta trasformando in un gigantesco supermercato in cui domanda ed offerta si relazionano in funzione dei bisogni del "cliente", lo studente e la sua famiglia. Il PTOF non è poi questo, il depliant dei prodotti che la scuola offrirà? Peccato che sul depliant non si faccia mai riferimento alla preparazione, all'adeguatezza, alla passione dei suoi docenti, alla loro reale capacità di insegnare e di educare.
Ma oggi educare ed insegnare hanno il sapore delle parole desuete, antiche, della nonna.
Per fortuna che ci sono i libri, tanti e diversi! Alle volte si dimostrano fonti di mere idee senza concretezza ma tanto utili a spingere se stessi a credere nell'utopia - motore di ogni cambiamento - altre volte si comportano come saggi amici silenziosi che ti incoraggiano nella direzione intrapresa e nel primo intuito avuto.
Il libro Frankenstein educatore di Philippe Meirieu è stato un "compagno" durante la preparazione al concorso, suggerito da una donna molto in gamba che durante una lezione lo ha consigliato a quanti e quante volessero allargare i propri confini oltre il triste orizzonte del "ruolo".
Il titolo del saggio è un chiaro riferimento al romanzo letto e apprezzato da duecento anni dalla pubblicazione, il romanzo "Frankenstein o il Prometeo moderno" di Mary Shelley. Nato quasi per gioco - un racconto dell'orrore, un passatempo serale - durante un soggiorno estivo a Ginevra nel 1818, è diventato di lì a breve il racconto di un vero e proprio mito moderno. Il mito della creazione che oscilla tra umano e divino, in bilico tra vita e morte, tra religione e scienza, tra padre e figlio.
La scelta del mito di Frankenstein da parte di Meirieu è una provocazione contro le ricette per produrre cambiamenti efficaci ed efficenti negli educandi. È un'occasione di riflessione sui miti e gli archetipi che sono a fondamenta del discorso educativo.
L'educazione include spesso nei propri contenuti una sorta di progetto di chi educa su chi viene educato. La vita quanto l'identità sono trasmesse, non sono date da se medesimi. L'educazione, dunque, è il luogo della trasmissione, della traduzione. Un luogo che non è governato da leggi meccaniche del sapere, da tecniche, da modelli di apprendimento-insegnamento.
Lo sforzo di uniformare i percorsi e gli esiti educativi tanto nelle scuole quanto nelle università sta creando scuole fabbriche di sapere i cui pochi architetti - o meglio ingegneri dell'istruzione - hanno la guida dell'istruzione, mentre a capomastri-insegnanti e a studenti-manovali-proiettati nel mondo del lavoro non spetta che eseguire.
Ritorniamo a Meirieu e alla sua riflessione sull'educazione e sul suo profondo valore sociale.
Victor Frankenstein fa un uomo, lo costruisce e gli dà vita "ed è talmete spaventato dal suo atto, da cadere in uno stato di profondo abbattimento e da abbandonare a se stessa la creatura senza nome. Meirieu, 2007, p.14
Victor voleva fabbricare un uomo, superare i limiti della scienza, mettere alla prova le proprie abilità. Era animato da un gusto narcisistico e di potere, non di certo dall'intenzione di accogliere il nuovo nato e introdurlo nel mondo.
della diversità dei sentimenti che nel primo entusiasmo per il successo, mi spingevano ad andare avanti con irresistibile forza [...] una nuova specie mi avrebbe benedetto come suo creatore. Quanti esseri felici ed eccellenti mi sarebbero stati debitori dell'esistenza! Nessun padre avrebbe mai meritato così completamente la gratitudine dei suoi figli quanto io avrei meritato la loro. Shelley, 1978, p.84
Dunque Frankenstein è l'uomo alle prese con l'arrivo di un "altro", uno di quei bambini che un giorno si hanno "tra le braccia" e ben presto sulle spalle, senza sapere molto bene quello che se ne è fatto e quello che se ne può fare [...] Abbiamo fatto un bambino e vogliamo farne qualcosa che ci piaccia.
Frankenstein si vuole padre, ma scopre troppo tardi cosa questo vuol dire. Terrorizzato cade in un sonno inquieto: è spaventato da ciò che ha appena fatto e di cui non si rende ancora bene conto.
a quelli che non sanno quel che fanno non sempre è concesso il perdono, Shelley, 1978, p.61
La creatura non è particolarmente piacevole, frutto com'è di un lavoro di taglio e cuci, eppure questa creatura non è il mostro sanguinario che diventerà. Anche la stessa Mary Shelley descrive questa creatura profondamente "buona", piena di sentimenti di compassione, nata con la sola richiesta di essere amata. È maldestra, impacciata, ignorante dei costumi degli uomini, ma niente in lei è espressione di cattiveria o aggressività. Solo quando abbandonata dal suo creatore la creatura, nel tentativo di fare la sua educazione, si avvicina al mondo che però non la riconosce come uno di loro, allora scopre l'infelicità, la solitudine e la disperazione.
Il padre, Victor, ha mancato completamente la sua funzione, quella di mediatore: introdurre la sua creatura nel mondo, educarla e aiutare gli uomini ad abituarsi a lei. Inutilmente Victor urlerà di non sapere quello che ha fatto.
Fabbricare un uomo non è una cosa che si può fare così, alla sprovvista e senza pensarci veramente, senza misurarne le conseguenze, né interrogarsi su ciò che questo implica per il futuro. Meirieu, 2007, p.64
Fabbricare un uomo e poi abbandonarlo significa assumersi, in effetti, il rischio terribile di farne un "mostro".
Frankenstein non è un educatore, questo è il motivo per il quale la sua azione si conclude nel risultato, nel fine stabilito a priori: fabbricare un uomo.
Il corpo della sua creatura è un insieme di organi, la combinazione efficace tra conoscenze e abilità tecniche, senza alcuna competenza. Non ha consapevolezza, il dottor Frankenstein, di quanto sta compiendo, né se ne assume la responsabilità. Alla sua creatura non rimane che un vano tentativo di inserimento sociale, il cui fallimento accenderà la rabbia del rifiuto.
Il mito di Frankenstein mette in evidenza a livello educativo l'impossibilità di fabbricare una creatura per il nostro gusto del potere, l'illusione di trasmettere senza accompagnare, la necessità di un atto volontario ad apprendere e a divenire parte di un nucleo sociale, l'influenza che l'educatore ha sul discente.
Il corpo della sua creatura è un insieme di organi, la combinazione efficace tra conoscenze e abilità tecniche, senza alcuna competenza. Non ha consapevolezza, il dottor Frankenstein, di quanto sta compiendo, né se ne assume la responsabilità. Alla sua creatura non rimane che un vano tentativo di inserimento sociale, il cui fallimento accenderà la rabbia del rifiuto.
Il mito di Frankenstein mette in evidenza a livello educativo l'impossibilità di fabbricare una creatura per il nostro gusto del potere, l'illusione di trasmettere senza accompagnare, la necessità di un atto volontario ad apprendere e a divenire parte di un nucleo sociale, l'influenza che l'educatore ha sul discente.
Lo scopo dell'impresa educativa è che l'educando venga accompagnato nel mondo, che sia introdotto nella comprensione di quanti lo hanno preceduto, che l'educazione lo conduca a "farsi opera di se stesso"...
La scuola deve essere conservatrice: essa conserva il legame tra le generazioni, lo ricostruisce quando è minacciato, permette a ogni generazione di non dover ripartire da zero ed esorcizza questa paura dell'abbandono [...] Meirieu, 2007, p.131
Così, gli allievi non vanno a scuola per imparare quello che pensa l'insegnante, ma proprio per sapere chi sono, chi li ha creati, qual è la loro eredità immateriale, cosa possono cambiare. Vanno a scuola per scoprirsi. O meglio dovrebbero andare a scuola per questo.
Apprendere richiede uno sforzo, richiede una decisione personale al proprio cambiamento:
Apprendere richiede uno sforzo, richiede una decisione personale al proprio cambiamento:
si apprende per distaccarsi da quello che si è, per liberarsi da quello che si dice e si sa di noi, per scostarsi da quello che ci si aspetta e da quello che è stato previsto. Meirieu, 2007, p. 81
Un lungo e alle volte faticoso lavoro quello dell'apprendere, che porta la persona a conoscersi, a comprendere i suoi legami con il mondo e la società ai quali appartiene, che gli consente di fare scelte frutto di un saggio equilibrio tra cuore e mente.. Tutto ciò è possibile quando in questo percorso sono sorretti da insegnati ed educatori che possono dedicarsi realmente e con passione al proprio lavoro, frutto di una scelta consapevole dei compiti e dei doveri che questo lavoro richiede. Ma quando il lavoro è scelto per fame di "ruolo" quale educazione e insegnamento ne conseguirà?
I candidati si vogliono insegnanti, ma sanno cosa questo significherà?






